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Corriere della Sera e Napolitano si smarcano da Letta

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Sergio Soave apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Giorgio Napolitano prende gradualmente le distanze dal governo di Enrico Letta, che con la sua nuova maggioranza “più omogenea” ha perso il carattere di esecutivo straordinario legato al patto di pacificazione su cui era stata costruita la conferma del presidente per un nuovo mandato al Quirinale. Lo sta facendo con atti, come il rifiuto di promulgare un decreto manomesso nell’iter parlamentare promosso dal governo che lo aveva concluso con la richiesta di fiducia, e con considerazioni, come quelle dedicate ieri all’esigenza di un rispetto rigoroso delle procedure legislative. In passato, anche in un recente passato, il Quirinale era stato di manica assai più larga, ma allora il carattere fondamentale dell’esecutivo era quello di un governo del Presidente (anche se formalmente era basato sul necessario, e allora assai ampio, consenso parlamentare).

Con questa separazione delle responsabilità Napolitano cerca di evitare che un possibile scivolone del governo Letta, che inanella figuracce ogni giorno, coinvolga la sua figura, ma anche che l’ostilità nei confronti del Quirinale, esplicita nel Movimento 5 stelle ma presente anche in uno spirito di delusione che circola nel centrodestra, renda impossibile il dialogo sulle riforme istituzionali e persino su quella elettorale.

Si vedrà esaminando il messaggio di fine anno del Quirinale quanto è ampia la distanza, non solo istituzionale, tra Quirinale e palazzo Chigi, che in sostanza riflette un grave insuccesso del governo che, invece di utilizzare la protezione del Quirinale per allargare il suo consenso, lo ha ristretto al punto da far riverberare lo spirito crescente di opposizione (e in certi settori, anche di ceto medio, di rivolta) in direzione della massima carica dello Stato. Napolitano sente come principale urgenza del suo mandato quella di promuovere l’unità nazionale, come base sulla quale si può costruire un percorso riformatore condiviso.

Ora misura le dimensioni dell’insufficienza di questo programma in una situazione attraversata da incursioni dello strapotere giudiziario, da esondazioni autoritarie che vengono anche dagli ambienti europei, dalla disgregazione o dal cambio repentino di leadership nelle forze politiche dalla dubbia rappresentatività. Probabilmente cercherà di trovare per l’ultima volta un consenso sufficiente a raddrizzare un po’ la situazione, poi, se questo estremo tentativo fallirà, cederà e si appresterà a gestire la fase conclusiva della legislatura e, dopo le elezioni, anche il proprio addio, forse anche preannunciato già a fine anno, alle funzioni istituzionali.


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