Più Giorgio Napolitano ribadisce la sua contrarietà alle elezioni anticipate prima del 2015, più torna a minacciare le proprie dimissioni piuttosto che sciogliere le Camere fra qualche mese, più cresce l’assedio al Quirinale. Un assedio di doppio tipo, esplicito o implicito, ma ugualmente equivoco nella sua contraddittorietà.
L’ATTACCO FRONTALE
E’ sicuramente esplicito l’assedio condotto dal Movimento di Beppe Grillo e dalla rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi. E mediaticamente sostenuto da giornali che più diversi non potrebbero essere per le loro aree di riferimento culturale e sociale: da una parte Il Fatto e a giorni o a pagine alterne la Repubblica, dall’altra Il Foglio, il Giornale e Libero. Cui forse si aggiungerebbe il Corriere della Sera se Diego Della Valle, pure lui smanioso di correre alle urne, riuscisse a prenderne finalmente il controllo. Magari, egli spera di arrivarvi proprio con la scorciatoia delle elezioni.
L’ASSEDIO SOTTO TRACCIA DI RENZI
E’ implicito l’assedio al Colle da parte del nuovo segretario del Pd Matteo Renzi, ma non tanto sotto traccia da non essere avvertito nelle sue callosità e goffe furbizie. Come la stizzita fuga del sindaco di Firenze dal buffet natalizio al Quirinale, dopo i moniti del capo dello Stato contro i rischi di crisi di governo, e il successivo tentativo di dissimulare il dissenso con una telefonata di scuse. O con dichiarazioni di formale adesione ai timori di Napolitano affidate a improvvisate portavoci.
Si faceva così, in verità, anche negli anni lontani della cosiddetta Prima Repubblica. Ma sulla bocca o nelle mani di un innovatore o rottamatore ostentato come Renzi questi metodi o comportamenti si risolvono in penose imitazioni, non in risorse di astuzia.
CHI VUOLE LE ELEZIONI ANTICIPATE
In realtà, Renzi persegue l’obbiettivo delle elezioni anticipate con la stessa e forse anche suicida intensità di Grillo e di Berlusconi, ma anche della Lega e della sinistra di Nichi Vendola, distinguendosene solo nelle modalità. Gli uni puntando direttamente alla crisi e lui chiedendo al governo, e più in particolare al presidente del Consiglio Enrico Letta, ciò che sa di non poter ottenere senza provocarne appunto la caduta: per esempio, la rottura con il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano sulla riforma elettorale e/o altro ancora.
E’ un desiderio di rottura, questo con Alfano, che il nuovo segretario del Pd non riesce neppure a dissimulare quando, pur non sottraendosi alle occasioni d’incontro, casuali o volute, gli fa “auguri” beffardi perché egli ha osato reagire alle sue gomitate indicando Letta come interlocutore unico o più diretto.
RENZI ELEFANTE IN CRISTALLERIA
Renzi dà un po’ l’impressione, francamente, di muoversi come un elefante, sia pure di giovane età, in una cristalleria. Le cui vetrine peraltro sono già minacciate all’esterno dai forconi e da opposizioni che, pur di sfasciarle, confondono le loro storie in una miscela di opportunismo e di ritorsione.
L’opportunismo, di tipo elettorale, funzionale cioè al ricorso alle urne, è quello che permette a Grillo, per esempio, di non trovarsi a disagio in compagnia di Berlusconi negli attacchi al governo e al capo dello Stato. Di ritorsione, oltre che di opportunismo elettorale, sa invece la disinvoltura di Berlusconi nel trovarsi accanto ai grillini o alla parte nascosta della luna di Renzi, quella cioè che lavora per la crisi.
LA DISINVOLTURA DI BERLUSCONI
La ritorsione è contro la decadenza dell’ex premier dal Senato, dopo la sua condanna definitiva per frode fiscale. Una decadenza dagli indubbi aspetti forzati e grotteschi, votata addirittura a scrutinio palese e in applicazione retroattiva di una legge su cui anche giuristi di sinistra avrebbero voluto un giudizio preventivo dei giudici costituzionali, ma dalla quale non si possono cancellare a cuor leggero i segni dei grillini. Che ne hanno dettati tempi e modi ad un Pd impantanato in una campagna congressuale che Renzi ha accettato o voluto giocare, e vincere, sul solito terreno dell’antiberlusconismo, criticato a parole, con la storia di voler battere Berlusconi nelle urne e non nei tribunali, ma praticato nei fatti pure da lui.