Le banche italiane sono solide e sapranno reggere ai venti, ancora forti, della crisi economica. E tutto ciò nonostante il quadro congiunturale dell’Area Euro sia fortemente peggiorato a seguito dell’indebolimento del ciclo economico mondiale e delle permanenti tensioni sui mercati del debito sovrano della zona e, soprattutto, del fatto che la recessione italiana si sia confermata più severa rispetto alla media dell’Eurozona. A dirlo sono i report e le analisi di diversi istituti privati e internazionali, da Deutsche Bank al Fondo Monetario per arrivare all’Autorità bancaria europea (Eba), anche se spesso in seminari a porte chiuse, come quello tenuto di recente alla Luiss, analisti di istituti stranieri hanno maramaldeggiato sulle banche italiane parlando ad esempio dei crediti deteriorati.
I NUMERI ABI
E anche l’Associazione bancaria italiana, che nel Rapporto di previsione 2014-2015 presentato stamane a Palazzo Altieri, annuncia che una contenuta crescita degli aggregati patrimoniali dovrebbe consentire un ulteriore miglioramento dei ratios patrimoniali, sia che essi siano rapportati all’attivo ponderato per il rischio e sia al totale attivo.
LA VALUTAZIONE DELL’EBA
Come riportato dal Corriere della Sera, i cinque maggiori istituti di credito messi sotto osservazione dall’Eba, l’autorità di vigilanza europea, e cioè Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, BancoPopolare e Ubi Banca, si sono rafforzati nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
“I cinque istituti italiani registrano — il rapporto sulla trasparenza dei bilanci diffuso dall’Eba fa riferimento ai dati al 30 giugno — un coefficiente aggregato dell’11,3%, appena al di sotto della media complessiva ma più alto di quello espresso dalle banche francesi e spagnole. In particolare Unicredit mostra un coefficiente di solidità patrimoniale (core tier 1) dell’11,4%, Intesa dell’11,2%, Ubi del 12,1%, Mps, anche grazie alla conversione dei Tremonti bond, dell’11% e il Banco Popolare del 10,1%“. Si tratta dunque di cifre che testimoniano solidità anche se l’analisi dell’Eba evidenzia come il rafforzamento patrimoniale “sia stato spinto in Italia” come in altri Paesi europei.
GROSSO EQUIVOCO
Perché allora le banche italiane finiscono spesso sul banco degli imputati, come ha fatto di recente l’Ubs nel corso di un seminario alla Luiss? Alla base di questo “equivoco” ci sarebbe per molti analisti una differente valutazione e disclosure dei crediti dubbi e sofferenze tra i vari Paesi. Per questo, come evidenziato anche dal Fmi nel suo report annuale sulla stabilità del sistema finanziario, “confrontare il livello delle riserve in Italia a quello di altri Paesi può essere fuorviante: le regole di classificazione dei prestiti in Italia sono più prudenti, le pratiche di vigilanza più severe, e la deducibilità fiscale delle disposizioni meno generosa che altrove in Europa“.
Un esempio, richiamato nelle sue linee generali in un report di Deutsche Bank, è il confronto tra la valutazione di una sofferenza di un immobile finanziato con 10 mln in Italia e in Francia. Nel tempo il valore di mercato scende a 7 e la posizione va in sofferenza. In Italia si deve iscrivere la sofferenza di 10 con accantonamenti di 3 ossia (10-7) implicando una copertura del 33%. in Francia invece si può scontare il valore residuo del bene quindi la sofferenza va iscritta per 3 (ossia 10-7) e supponiamo che la banca francese ritenga necessario accantonare solo 2 abbiamo una copertura del 66%.
LE CARATTERISTICHE ITALIANE
Dati possibili anche perché le banche italiane conservano, secondo diversi analisti, altre peculiarità che le differenziano dagli istituti di credito europei.
L’elevata percentuale di attivo composto da impieghi verso imprese e famiglie (le imprese sono banco-centriche); il basso livello di attività finanziarie in portafoglio (in particolare la pressoché inesistente componente di attività di livello 3, le classi meno liquide, spesso indicate come attività “tossiche”); la stabilità del funding, grazie all’elevata percentuale di raccolta retail; il basso livello della leva finanziaria e l’elevata qualità del capitale e l’assenza di fondi pubblici ricevuti nel corso della crisi; la bassa esposizione verso Paesi periferici in difficoltà.
Per quanto riguarda la leva finanziaria – spiega invece sempre l’Abi nel suo rapporto -, al 2015 il totale dell’attivo dovrebbe risultare pari 10,5 volte il capitale e riserve, contro un valore di 11,3 volte nel 2012 e di 14 volte negli anni pre-crisi; mentre il CoreTier1 ratio dovrebbe crescere fino al 12% nel 2015, migliorando di 1,3 punti percentuali rispetto ai già elevati livelli del 2012.
Tutti parametri considerati dal Fmi nelle recenti pubblicazioni sulla situazione delle banche italiane e in stress test e diverse simulazioni di un ulteriore peggioramento della situazione economica, che non evidenzia per l’istituzione di Washington particolari problemi per le banche italiane.