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Destinazione Italia: pregi, difetti e opportunità. I giudizi di I-Com

Nel giorno in cui il Consiglio dei ministri ha approvato il documento Destinazione Italia, Formiche.net pubblica uno stralcio del rapporto dell’Istituto per la Competitività (I-Com) diretto dall’economista Stefano Da Empoli sul provvedimento.

Sul piano dei contenuti, gran parte delle 50 misure enunciate nel Piano “Destinazione Italia” appaiono condivisibili. Da una semplificazione delle procedure alla maggiore certezza del diritto, dalle liberalizzazioni al coinvolgimento dei capitali privati in aree oggi off limits o quasi, la direzione è tendenzialmente quella giusta.

LE PAGELLE DEI TURBO-LIBERISTI MINGARDI E STAGNARO A “DESTINAZIONE ITALIA”

STEFANO FIRPO AD APERITHINK. GUARDA LE FOTO

PREGI E DIFETTI
Come già detto, convince anche la visuale a 3600, che permette di ragionare sul tema dell’attrazione degli investimenti in un unico framework di policy. Così come non convincono molto le critiche secondo le quali numerose misure sono generaliste e non indirizzate soltanto agli investitori esteri. Se “Destinazione Italia” può essere un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica e i decisori verso una maggiore competitività del sistema Italia nella sua interezza, questo ci sembra un pregio e non un difetto. Piuttosto, si potrebbe ragionare se valga la pena suddividerlo in due parti, una di misure specificatamente indirizzate agli investitori e un’altra di misure generali di sistema.
Apprezzabile è anche l’attenzione alla fase di execution del Piano, attraverso il monitoraggio della Presidenza del Consiglio e il coinvolgimento degli stakeholder (a partire dagli investitori esteri), il Rapporto annuale al Parlamento su Destinazione Italia e sullo stato degli investimenti esteri in Italia e il punto trimestrale del Consiglio dei Ministri sullo stato di attuazione, sulla base di un cronoprogramma.

UN ORGANISMO PERMANENTE
A questo proposito, sarebbe certamente interessante istituzionalizzare un organismo permanente di confronto tra gli investitori esteri e le principali istituzionali nazionali e regionali, che si riunisca a livello tecnico con una certa frequenza per discutere le misure da assumere e le principali criticità emerse e almeno una volta l’anno possa riunirsi a livello politico (magari in prossimità del Rapporto annuale).
Tra gli elementi critici, affiora troppo poco, sullo stesso livello della semplificazione e della certezza del diritto, alle quali viene dato giustamente grande risalto, il tema dell’elevata pressione fiscale e non sempre incisivo appare il contenimento degli effetti più deleteri del regionalismo così come forse una maggiore focalizzazione avrebbe meritato la digitalizzazione (al di là della misura specifica prevista e di alcuni richiami in altre).

L’ASSENZA DI GOVERNANCE
Tuttavia, il limite principale del piano ci sembra nell’assenza di indicazione sulla governance del soggetto deputato a promuovere all’estero (e soprattutto in Italia) gli investimenti esteri.
Si cita il nome (Destinazione Italia), la forma giuridica (una società per azioni) ma per esplicita scelta nulla si dice su come funzionerà. Di fatto, lasciando agli equilibri politici il riempimento di un guscio vuoto.

UNA STRUTTURA AD HOC
Eppure, si tratta di un punto decisivo. È giusto immaginare una struttura ad hoc (a prima vista sembrerebbe più indicata un’agenzia rispetto a una società per azioni, ma se questo serve ad avere maggiore libertà di manovra nelle assunzioni di personale qualificato dal settore privato nulla quaestio, l’importante è che il retro pensiero non sia quello di immaginarla come una piccola merchant bank). Occorre pensare a un soggetto che sia in grado sul piano internazionale di attrarre menti e denari e sul piano domestico di accompagnare le aziende straniere che vogliono investire attraverso le strettoie burocratiche ma non solo. Agenzia o società, l’organizzazione che nascerà dovrà diventare la prima piattaforma di lobbying presso le istituzioni per una normativa primaria e secondaria favorevole a creare il giusto clima e a rimuovere barriere per gli investimenti privati. Dunque si deve puntare su professionalità di alto profilo e variegate, in parte reperibili solo nel privato e con molti curriculum forti di esperienze internazionali nel business.

IL RACCORDO TRA LIVELLI
Per garantire una capacità di influenza sui decisori e il perseguimento di una mission quanto mai ambiziosa, crediamo che solo un’Agenzia posta alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio (sul modello dell’ISPAT turca) e in stretto coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero per lo Sviluppo Economico, che coprono il fronte della diplomazia economia e della promozione commerciale, potrebbe avere chance effettive di assolvere questa funzione. Con una cesura netta rispetto alle esperienze fallimentari maturate nel passato e anche nel presente. E con un necessario raccordo con gli altri livelli dell’amministrazione, in particolare le Regioni (prevedendo dunque una struttura ad hoc per i Rapporti con le Regioni).

L’ESPERIENZA ESTERA
Inoltre nell’ambito della governance e delle attività svolte, deve trovare posto primario un’azione di analisi e comparazione rispetto a quanto viene fatto a livello internazionale dai Paesi più innovativi per attrarre investimenti esteri. Come avviene nelle multinazionali che confrontano a livello planetario i sistemi paese per individuare quelli di maggior interesse prospettico in cui portare gli investimenti, l’Agenzia deve avere conoscenze simili per poter adeguatamente adattare la propria azione e mantenere il sistema Destinazione Italia aggiornato rispetto a quanto succede all’estero.
Quello del rilancio di politiche industriali innovative è un tema da troppi anni assente nel nostro paese ed andrebbe al più presto recuperato, come hanno fatto le principali economie industriali del G8, dagli USA alla Francia, dalla Gran Bretagna alla Germania.

VIETATO DISPERDERE ENERGIE
Per evitare di disperdere energie e di assumere inutilmente una dimensione elefantiaca, perdendo la snellezza necessaria, l’Agenzia dovrebbe concentrarsi solo su taglie di investimento che superino una soglia minima dimensionale (eventualmente variabile a seconda del settore). Senza però dimenticare gli investimenti passati, che continuano a generare ricchezza e occupazione sul territorio e che possono rappresentare una base di partenza importante per eventuali investimenti futuri. In questo senso, occorrerebbe che un dipartimento ad hoc di “Destinazione Italia” monitori gli insediamenti esteri in Italia oltre una certa soglia dimensionale (di fatturato e/o di occupazione) e possa avviare un dialogo continuo prima che si generino eventuali crisi (gestite dal tavolo del Ministero dello Sviluppo Economico) o annunci di disinvestimento. In taluni casi, da lì potrebbero venire ulteriori investimenti, specie in quei casi in cui la forza lavoro è qualificata ma la produzione sta andando verso l’obsolescenza (ad esempio, gran parte degli stabilimenti nel settore farmaceutico, il primo per investimenti esteri in Italia, si trovano in questa situazione).

STIPENDI LEGATI A INVESTIMENTI
Infine, un suggerimento per rompere davvero con il passato (sfruttando anche l’eventuale natura privatistica del nuovo soggetto) e portare una vera e propria rivoluzione per il nostro Paese: legare la parte variabile dello stipendio dei dirigenti, a cominciare dal direttore generale e/o amministratore delegato, all’andamento del flusso degli investimenti verso l’Italia (o a un sottoinsieme più indicativo e meno volatile e casuale, ad esempio al netto delle operazioni di fusione e acquisizione).

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