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Gli auguri urticanti a Renzi

Sulla soglia del 2014 ad avere più bisogno di auguri, fra i leader italiani, è paradossalmente chi sembra godere del migliore stato di salute politica, essendo appena uscito trionfante dalle primarie che lo hanno portato alla guida del maggiore partito italiano.

Matteo Renzi ha il maggiore bisogno di auguri perché maggiore è il carico di aspettative che si sono create attorno a lui, fuori e non solo dentro il suo Pd. Tanto più alte sono le speranze da lui stesso alimentate con il tipo di campagna congressuale condotta nei mesi scorsi, tanto più cocenti, e rovinose per tutti, rischiano di rivelarsi le delusioni. Di cui lo stesso Renzi peraltro ha finito per mostrare una certa consapevolezza, o preveggenza, abbassando qualche giorno fa la guardia della sua spavalderia per ammettere, testualmente: “E’ difficile capire quello che accadrà nelle prossime settimane, nei prossimi mesi e nei prossimi anni in Italia”.

Beh, se il problema era e rimane quello di una incertezza endemica, non si capisce perché Renzi abbia voluto così fortemente e ostinatamente proporsi al suo partito e al Paese come un demiurgo. E perché in tanti glielo abbiano permesso lasciandogli scalare la segreteria del Pd per prenotare contemporaneamente la candidatura alla guida del governo, quando si sarà conclusa l’esperienza di Enrico Letta. Che rischia peraltro, nonostante la fiducia ripetutamente ostentata nella possibilità d’intendersi perfettamente con Renzi, di fondere il motore per le prestazioni che reclama l’aspirante alla successione con l’aria di volerlo incalzare.

Anche la conferma di Renzi di volersi ricandidare a sindaco di Firenze, senza con questo rinunciare oggi alla segreteria del partito e domani a scalare Palazzo Chigi, appare più uno spreco velleitario di energie che un investimento realistico sulle proprie capacità di tenuta, se non  addirittura una dimostrazione di furbizia da vecchia politica. O, ancor peggio, la prova della incapacità di scegliere bene il proprio futuro. E, di conseguenza, la scarsa idoneità a decidere di quello degli altri. Una scarsa idoneità aggravata, per giunta, da strappi caratteriali che rischiano di trasformare rapidamente, e per lui rovinosamente, i suoi rottamati in vittime meritevoli di essere prima o dopo vendicate.

Sa troppo di ritorsione, odiosa come tutte le ritorsioni, la porta in faccia sbattuta da Renzi alla candidatura al Parlamento Europeo di un uomo come Massimo D’Alema, già costretto da lui a non riproporsi al Parlamento nazionale per le sette legislature che vi aveva già trascorso.

Sarebbe peraltro una candidatura, quella di D’Alema al Parlamento Europeo, destinata a non trasformarsi automaticamente nell’elezione, secondo il modello scandaloso delle liste bloccate praticato dal 2006 per la Camera e per il Senato e finalmente bocciato dalla Corte Costituzionale. Per l’eurodeputato è sempre rimasta la necessità di guadagnarsi il seggio con il voto di preferenza.

In realtà, Renzi non ha voluto perdonare a D’Alema il consiglio ricevutone, prima e durante la campagna congressuale del Pd, di arricchire la propria esperienza politica a livello internazionale, candidandosi a Strasburgo, prima di rappresentarvi il Paese come capo del governo italiano. Una ritorsione, quella di Renzi contro il non sufficientemente rottamato e pur spocchioso D’Alema, che non fa onore alle sue ambizioni da leader. E neppure alle dimensioni di boy scout che qualche critico anche autorevole, nei campi dell’industria e dell’alta finanza, ama attribuire ancora a Renzi nelle conversazioni private, commentandone con stupore la troppo rapida ascesa.

Appartiene alla superficialità, e non certo alla consistenza o profondità dell’azione politica, anche la pretesa del nuovo capo del Pd di risultare più credibile convocando le riunioni di partito, a Roma, quasi all’alba. Ma ciò non tanto per spremere il meglio dagli altri, appena levatisi dal letto, bensì per separarsene in tempo, in poco più o poco meno di due ore, com’è accaduto l’ultima volta, rispetto ad un appuntamento natalizio già preso a Firenze con i dipendenti del Comune.

Serve a poco un pendolare sia come sindaco sia come segretario del maggiore partito italiano. E tanto meno domani, o dopodomani, come presidente del Consiglio. Non bisogna essere arguti, consumati, o rottamati come D’Alema, per rendersene conto. E per augurare a Renzi, con il suo stesso stile urticante, di cambiare passo e tante altre cose nell’anno in arrivo, evitando che divenga l’anno orribile suo e del suo Paese.

Francesco Damato


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