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Il lavoro non basta più. Ci servono i soldi

Avere un posto di lavoro non basta più. Sembra un’affermazione azzardata in un periodo in cui in giro c’è “fame” di lavoro. Eppure, il lavoro non garantisce più i mezzi necessari per una vita dignitosa nel nostro Paese. Non basta per arrivare a fine mese, in altre parole. Queste le conclusioni a cui giungono Walter Passerini e Paolo Vavassori autori del libro: “Senza Soldi” edito da Chiare Lettere.

Il testo è ricco di “numeri” inequivocabili che più delle parole ci rappresentano una realtà sociale e lavorativa italiana preoccupante.

Secondo Bankitalia, riporta il testo, due famiglie su tre hanno un reddito troppo basso. Il 65% delle famiglie italiane ritiene di non avere risorse sufficienti. E tra questi, i più penalizzati sono i giovani e chi vive in affitto. I tassi di disoccupazione giovanili hanno raggiunto il 40 per cento e il livello degli affitti, soprattutto nelle grandi città, ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da assorbire gran parte della retribuzione mensile di una famiglia media.

Lavoro dipendente e lavoro autonomo – Una prima linea demarcazione tra i redditi e i salari è tracciata dalla condizione contrattuale, ossia dal contratto di lavoro che si ha: dipendente o autonomo. In media, se il posto di lavoro è con contratti iperflessibili o precari, la retribuzione è inferiore del 28% rispetto a chi ha un contratto a tempo indeterminato e da dipendente, questo secondo un’elaborazione dell’Isfol. Ma questo non vuol dire che i dipendenti, che in Italia sono circa 17 milioni, se la passano tanto meglio.

Il salario medio dei dipendenti a tempo indeterminato nel 2011 è di 1.313 euro, per quelli con contratto a tempo determinato è di 945 euro. In particolare, la paga dei dipendenti con posto fisso oscilla tra i 900 euro dei giovani tra i 15 e i 24 anni ai 1.500 euro degli adulti tra i 55 e i 64 anni. Senza dimenticare che oltre 3 milioni di dipendenti lavorano con un part time, il più delle volte involontario.

Se allarghiamo lo sguardo all’Europa, i dati della Commissione Europea ci dicono che quasi il 94% dei lavori creati nel 2011 sono part-time e il 42,5% dei giovani ha contratti a tempo determinato.

Qui la vera questione, a mio avviso, non è tanto l’ingresso nel mondo del lavoro con contratti a tempo, ma il tasso di trasformazione di questi contratti da temporanei a tempo indeterminato, nell’arco degli anni. Anche se andiamo incontro sempre di più verso un mercato del lavoro strutturalmente flessibile e instabile.

Una spirale allarmante – Tornando alla questione salariale, questo gap innesca un circuito vizioso che a catena porta meno consumi, meno produzioni e meno occupazione. Una spirale dell’impoverimento allarmante.

La prima conseguenza diretta, scrivono Passerini e Vavassori, di una simile condizione è il cambiamento del tenore di vita delle famiglie italiane. E’ inevitabile. Si dovrà razionalizzare la spesa e fare a meno del superfluo.

Si è spezzato il binomio fondamentale lavoro-sicurezza, perché si può essere poveri e in balia degli eventi anche con un lavoro. Si è inceppato il binomio studio-lavoro perché anche con una laurea in tasca non si ha più la garanzia di avere un lavoro con stipendio dignitoso. In sostanza, è la tesi del Libro Senza Soldi, sembra che abbia perso valore il lavoro: il lavoro è pagato poco perché vale di meno.

C’è chi guadagna troppo – L’altra faccia della medaglia, direttamente proporzionale alla svalutazione dei salari medi, è la distanza sempre più marcata tra chi guadagna molto e chi combatte per arrivare a fine mese. Una distanza abissale e per molti immorale. Aumentiamo i salari medie e mettiamo un tetto agli stipendi d’oro di presunti super manager, che spesso tanto super non sono.

La soglia dei 1.000 euro è, per i più, il parametro di riferimento delle proprie entrate da lavoro a prescindere dalle qualità e professionalità che si hanno. Insomma, l’obiettivo del libro è accendere un potente riflettore sulla questione salariale che attanaglia il nostro Paese come metafora del lento declino del lavoro.

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