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Il messaggio accorato di uno stanco Napolitano

Non sarà certamente sfuggita al pubblico che ha sentito il messaggio televisivo di Capodanno l’aria un po’ stanca dell’anziano presidente della Repubblica. Ed anche il puntiglio con il quale egli ha voluto ribadire verso la fine del discorso – quasi per confermare il suo affaticamento  e i limiti delle condizioni nelle quali sta svolgendo il suo secondo mandato – che quello assegnatosi è “un periodo non lungo”. Cioè inferiore ai sette anni ordinari e, appunto, lunghi di un incarico al vertice dello Stato.

Ma non sarà neppure sfuggita la forza con la quale, pur nella consapevolezza dei suoi “limiti”, Napolitano ha voluto avvertire i malintenzionati della politica e dell’informazione che non si lascerà “condizionare da campagne calunniose” e persino da “minacce”. Qual è quella che Beppe Grillo gli rivolge da tempo di promuoverne il cosiddetto impeachment in Parlamento per farlo processare dalla Corte Costituzionale per alto tradimento.

E’ sicuramente alla campagna di Grillo contro di lui – e alla sponda che purtroppo forniscono da qualche tempo falchi, pitoni e pitonesse della rifondata Forza Italia, procurando a Silvio Berlusconi più danni dei meriti che vorrebbero guadagnarsi ai suoi occhi – che Napolitano ha voluto opporre quell’elenco di comuni cittadini da cui riceve lettere ogni giorno. Vincenzo, Daniela, Marco, Serena, Franco, Veronica, di cui Napolitano ha voluto ricordare e condividere motivatamente preoccupazioni e angosce, sono serviti al capo dello Stato per smentire l’immagine attribuitagli da critici ed avversari di un presidente della Repubblica chiuso nella torre d’avorio del Quirinale, ignaro o indifferente rispetto ai cittadini attanagliati dalla crisi economica, finanziaria, sociale e politica del Paese.

E’  proprio per la sua vicinanza al Paese, d’altronde, alla gente comune, ai suoi problemi – ha voluto spiegare e far capire Napolitano – che egli otto mesi fa interruppe il trasloco già avviato dal Quirinale per fine mandato e accettò la richiesta di una conferma straordinaria, la prima nella storia della Repubblica. Una richiesta che gli era stata avanzata dai partiti, ed amministratori locali, che avevano mancato l’elezione di un successore, tanto divisi erano tra di loro, e al loro interno.

Sul futuro del governo in carica e della legislatura avviatasi con tanta fatica, e all’insegna di una così clamorosa ed evidente emergenza istituzionale, Napolitano non ha voluto spingersi nel suo messaggio dove altri forse lo attendevano, o lo spingevano. Egli si è limitato ad auspicare ancora una volta le riforme necessarie al Paese, a cominciare da quella elettorale da cercare con il maggiore consenso possibile. Ha avvertito il rischio che ricompaiano, con l’apertura evidentemente intempestiva di una crisi di governo, i pericoli di “vuoto politico” e istituzionale scongiurati nella scorsa primavera, a legislatura appena avviata senza né vinti né vincitori, o con troppi e troppo presunti vincitori. Ma per il resto ha avvertito, doverosamente, che per questo governo “il solo giudice è il Parlamento”. Non lui, quindi, con quella ossessiva rappresentazione che i critici ne fanno come di un ostinato e improprio garante e protettore della compagine ministeriale guidata da Enrico Letta.

In questa precisazione del presidente della Repubblica si potrebbe anche leggere, o intravedere, una sfida al nuovo segretario del Pd Matteo Renzi, da lui mai menzionato, a promuovere una crisi come conseguenza estrema di quello strano modo in cui egli cerca di incalzare il governo. Un modo strano perché condito di giudizi fortemente critici e di atteggiamenti quasi sprezzanti verso chi, come il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, rompendo con Silvio Berlusconi ne ha consentito la sopravvivenza dopo il passaggio all’opposizione dell’ex premier decaduto da senatore per effetto della sua condanna definitiva per frode fiscale. Ma anche per effetto, bisogna riconoscere, dell’applicazione retroattiva consentita dal Pd di una legge sulla quale anche giuristi di sinistra ritenevano che fosse opportuno chiedere il pronunciamento preventivo della Corte Costituzionale.

Proprio al passaggio di Berlusconi all’opposizione e all’elezione del rampante sindaco di Firenze a segretario del Pd il  presidente della Repubblica ha voluto riferirsi parlando del “molto” che “è cambiato negli ultimi mesi sul piano politico”. Non ha detto né poteva dire di più. Tocca ad altri agire perché il molto che è cambiato possa tradursi in qualcosa di buono per il Paese, e per le riforme, o debba farne invece aggravare le difficoltà. A buon intenditore poche parole, dice un vecchio proverbio.

Francesco Damato


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