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Il Vietnam che attende Renzi

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma

Forse neanche lui, l’ottimista Matteo Renzi, poteva immaginare che il suo problema principale non sarebbe stato d’avere la bicicletta, ma del dover, adesso, pedalare. Se la storia dice “guai ai vinti”, la politica può essere persino più crudele: “Guai ai vincitori”. E il nuovo segretario del Pd sta rischiando proprio, per dirla col titolo di quel libro, la solitudine dei numeri primi. Una sindrome che più o meno può essere illustrata in questo modo: il massimo del consenso, degli elogi, della capienza nel carro su cui stanno saltando tutti dentro e fuori il Partito, ma il pericolo che la festa finisca di colpo, al minimo indizio di un cedimento. Perché gli avversari interni ed esterni del rottamatore fiorentino, da Pierluigi Bersani a Silvio Berlusconi passando per l’universo mondo, mica hanno consegnato le armi, né si sono arresi alla pensione. Sono ancora lì, in sorridente attesa e trepido agguato, pronti a sbranare il neofita al suo primo tentennare.

Molti di loro muoiono dalla voglia di poter presto dire, a proposito di questo sindaco di Firenze assurto con la grazia di un ciclone ai Palazzi di Roma: “Visto? Ve l’avevamo detto. Sotto le parole del giovanotto, niente”. Del resto, Maurizio Crozza già ne fa una peraltro splendida parodia, associandolo al vuoto. E guai a sottovalutare, oltre che il rancore della vecchia partitocrazia verso i vincitori nuovi e di novità, la forza dei comici, che in questo deserto dei tartari sono diventati per tanti cittadini più credibili dei politici (ma forse non ci voleva molto).
Dunque, Renzi si gioca la reputazione e soprattutto il ruolo di leader su un paio di insidie: il lavoro e la legge elettorale. Cominciamo dalla seconda, che interessa solo al Palazzo e che perciò più facilmente si presta alle congiure.

Con buonsenso e coraggio, Matteo ha scelto di sorvolare sull’elenco dei modelli -francese, tedesco o britannico; a turno unico, doppio o triplo con salto mortale-, su cui da anni l’impotente politica si trastulla. Ha invece detto che lui vuole una legge bipolare, e che garantisca al governo di governare. In più, bravo Renzi, ha dato un mese di tempo ai maghi dei partiti per creare l’intruglio. Mattarellum corretto o meno? Oppure una genialata nuova di zecca, che non guasterebbe nel Paese di Machiavelli? Non importa: anziché farsi imprigionare dai nomi e dalle formule, Renzi ha dato i trenta giorni e va dritto per la sua strada.

Ma superate tutte le Befane, al dunque dal 1 febbraio in avanti il segretario del Pd non potrà più dettare la (nuova) linea: dovrà farla applicare. E dovrà essere consapevole del Vietnam che l’aspetta, fra una parte dei suoi gruppi parlamentari che non hanno digerito l’arrivo del rinnovatore, il centro-destra che col cavolo vorrà far fare bella figura al suo temibile antagonista e con la Corte Costituzionale chiamata a motivare la sua discutibile sentenza, che ha ucciso il Porcellum, facendo però rinascere il Mattarellum. Un Vietnam, appunto, nel quale il Comandante Renzi dovrà imporsi e non più limitarsi alle belle dichiarazioni.

Sul lavoro la sfida, se possibile, è ancora più complicata, perché riguarda direttamente le paure e le speranze degli italiani. Qui non basta fissare un tempo limite né “dare la linea”. L’abrogazionista Renzi ha già fatto finta di niente sullo sconcio del finanziamento pubblico ai partiti e sulle Province, nessuna delle due cose abolite ora e subito, come promesso. Ma sul lavoro neanche girando la testa dall’altra parte il segretario del Pd potrà sperare di farla franca. La gente pretende misure di cambiamento immediato e radicale: tagliare senza pietà i costi e i privilegi che nulla hanno da vedere con la buona amministrazione pubblica, ovunque essi s’annidino. E “creare” lavoro, incoraggiando gli imprenditori a intraprendere, a investire, a esportare, anziché seppellendoli di tasse a tutto danno dei lavoratori.

Renzi ha preparato un suo “piano per il lavoro” con segnali interessanti, anche se timidi e nebulosi. Il progetto sembra voler puntare a posti di lavoro stabili con tutele crescenti. Non più ideologia, ma idee. Però anche le idee camminano sulle gambe dei legislatori. E Renzi dovrà superare due prove decisive: quella del Pd (e della Cgil) e quella del Parlamento. Non basta la parola neanche per uno che si chiama Matteo Renzi.

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