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Italia stanca, ma c’è ancora un’ultima chiamata

“Non devo aver paura. La paura uccide la mente. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata ne scruterò il percorso. Laddove andrà la paura, non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò”
Frank Herbert – Dune

“L’inerzia è una delle forme più logore della disperazione”
Antoine de Saint-Exupéry

Un’Italia sotto stress, senza sprint e infelice. Questo è il Paese che emerge dal 47simo rapporto sulla società italiana del CENSIS, presentato questa mattina da Giuseppe De Rita, ormai da tanti anni una delle più attente e ascoltate letture sulla situazione italiana.

Una stanchezza e una sfiducia che nascono dal violo cieco in cui ci ha condotto l’ultimo quinquennio di crisi economica e sociale. Il CENSIS infatti rileva come “negli anni della crisi abbiamo avuto il dominio di un solo processo, che ha impegnato ogni soggetto economico e sociale: la sopravvivenza. C’è stata la reazione di adattamento continuato (che spesso si è trasformato in puro galleggiamento) delle imprese e delle famiglie”.

Lettura semplice ed impeccabile allo stesso tempo ed è proprio qui che, se dovessi fare una notazione laterale al mio Maestro De Rita, si annida il grande problema di fondo non solo di imprese e famiglie ma, più in generale, delle leadership che avrebbero dovuto governare i processi critici del Paese. Dico “dovrebbero” perché un serio governo della nostra economia e della nostra società avrebbe provato a cercare le importanti opportunità che ogni crisi offre invece di adattarsi e adagiarsi all’analisi del pessimismo imperante e dei vicoli ciechi nei quali ti sequestra la logica della decrescita infelice. Insomma, invece di ricordare che, come dimostrano tutte le serie storiche, in ogni crisi l’80% delle ricchezze passa di mano e che, proprio in questi periodi, si aprono grandi spazi di emersione nella scala sociale per chi abbia idee, iniziativa e voglia di fare, sembra che molti italiani (se non tutti) si siano rinchiusi a difesa dei loro fortini , delle loro certezze, di quelle che potremmo chiamare le loro “zone di confort” . In altre parole, dei loro piccoli vantaggi di trincea e delle loro rendite di posizione.

Per fortuna nelle pieghe delle pagine dello stesso Rapporto CENSIS si trovano altrettanti spunti e motivi per essere, se non ottimisti, almeno consapevoli che non tutto sia perduto. Mi riferisco in particolare alle grandi energie imprenditoriali e professionali rilevate nel Paese e che “si sprigionano”, in particolare, nei sistemi innovativi del welfare e del digitale. E anche ai tanti italiani che lavorano e studiano all’estero e “possono contribuire al formarsi di una Italia professionalmente attiva nella grande platea della globalizzazione”.

Senza dimenticare che il CENSIS individua un “possibile nuovo motore dello sviluppo” nella connettività dei soggetti coinvolti nei processi maggiormente innovativi. una spinta alla connettività che “sarà in orizzontale, nei vari sottosistemi della vita collettiva. A riprova del fatto che questa società, se lasciata al suo respiro più spontaneo, produce frutti più positivi di quanto si pensi”.

Una conclusione che potremmo definire di prudente ottimismo, sulla quale tutti noi dovremmo riflettere e impegnarci soprattutto per trovare, come direbbe De Rita, la deriva di lungo periodo invece di pensare sempre al piccolo orizzonte di breve. Un film con un finale forse lieto se, in uno sforzo di grande consapevolezza, riusciremo a fare in modo di non dimenticare che questa è una specie di ultima, fondamentale chiamata al nostro grande (o piccolo) futuro.


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