La ministra per l’integrazione Cecile Kyenge rilancia: nel 2014 si discuterà per ridefinire la questione della cittadinanza.
Il 2014 potrebbe rappresentare un anno di grandi novità. Ci sono problemi sul lavoro e sull’economia, e enormi problemi in tema di diritti che dobbiamo assolutamente risolvere. Tra questi problemi si trova la questione della cittadinanza ai figli di immigrati.
In Germania i figli di immigrati ottengono la cittadinanza tedesche se i genitori vivono e lavorano stabilmente nel Paese da almeno 8 anni. Lo Ius soli è applicato in molti paesi del mondo, con modalità differenti. In Brasile e negli USA, come in Canada, Argentina e altri Paesi del continente americano, lo ius soli è applicato a tutti incondizionatamente. In Germania, Francia e UK invece, l’acquisizione del diritto di cittadinanza è legato ad alcune condizioni, decise da ciascuno Stato in modo autonomo.
Questa questione è importante poiché tratta dei diritti dei bambini e non dei genitori di questi (non solo). L’identità si costituisce anche attraverso questo concetto: la cittadinanza. Ci sono diritti che discendono da questo, e negare a dei bambini la possibilità di sentirsi integrati e parte di una comunità, in cui sono nati, cresciuti e di cui hanno appreso lingua, usi e costumi, è una violenza inaudita.
Essere cittadino italiano è un privilegio. Vogliamo tutelarci dagli abusi? Benissimo. Applichiamo una cittadinanza “vincolata” ad alcuni requisiti come accade in Germania e Francia.
I figli di immigrati che vivono stabilmente in Italia, che lavorano o hanno lavorato, che hanno quindi contribuito al benessere collettivo, diciamo da almeno 8 anni o da 10 anni, devono avere un automatismo: essere cittadini italiani.
Il bambino che nasce in Italia, che apprende la nostra lingua (e magari non conosce quella di origine dei genitori), che segue i percorsi formativi ed educativi nelle nostre istituzioni scolastiche, che vive la nostra quotidianità perché non dovrebbe essere considerato italiano? Quale sarebbe la discriminante? Che la sua pelle è nera? Che ha gli occhi a mandorla? Che i genitori parlano con accenti strani?
Il 2014 può essere un’opportunità, anche per noi, di sbarazzarci di inutili stereotipi e volgari resistenze, di estendere il diritto e di applicarlo.
Il diritto di questi bambini/e, giovani (ragazze e ragazzi) di dirsi italiani perché tali si sentono è un elemento parte del percorso di integrazione e di costruzione dell’identità psicologica e sociale. Per questo sono assolutamente favorevole ad una modifica sostanziale dei percorsi di acquisizione della cittadinanza.
La foto di copertina è rappresentativa: dietro a questa etichetta ci sono dei volti, che hanno storie e vissuti differenti. Ma uniti da un desiderio e un senso d’appartenenza: alla comunità degli italiani.