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La crisi disperata e la soluzione che deve venire dalla politica

Pubblico questo articolo, come ha fatto oggi il giornale La Cosa Blu – Tutti per le Libertà, per ampliare e innescare – spero – un dibattito su questa drammatica questione, molto trattata con categorie ideologicamente fisse e stabili, ma incapaci di inquadrare il profondo disagio sociale in corso. Solo la politica può incanalare democraticamente e comprendere questa tensione. Altrimenti sarà game over. E balleremo sulle nostre macerie.

 

La protesta in corso in diverse parti d’Italia, cosiddetta dei Forconi, sta aumentando di intensità, sfociando anche in episodi violenti. Che sia chiaro da subito: la violenza, diretta o indiretta, va sempre condannata e stigmatizzata. Ciò premesso, è folle, a mio parere, l’indifferenza e la pigrizia da parte di gran parte della politica nel bollare questo sommovimento come “grillino”, “corporativo”. Sono intimamente convinto che questo atteggiamento sia quanto di più pericoloso possa essere fatto per alimentare e incrementare la rabbia e la disperazione di alcune delle persone che scendono in piazza a manifestare il proprio stremo e disagio. Un’altra premessa è d’obbligo: la composizione di questo movimento è profondamente composita, ci sono i violenti come gli ultras, estremismi di destra e sinistra, criminalità organizzata, professionisti della protesta che riescono a organizzarsi in modo efficace.

Parte di questo movimento, la meno organizzata, più spaventata, più disperata, è composta dal popolo delle partite IVA, da coloro che compongono il capitalismo molecolare, da coloro che – come dice il sociologo Aldo Bonomi – sono la piccola borghesia rancorosa che trovi alla mensa della Caritas. Costoro, disoccupati, imprenditori costretti a chiudere per la mancanza di domanda, per i crediti inesigibili dallo Stato, sfogano in modo disordinato la loro rabbia contro la politica, considerata responsabile della situazione attuale, e contro l’Europa, vissuta come entità burocratica responsabile del depauperamento del nostro Paese. C’è poi chi, incapace di protestare, si impicca per la vergogna di non poter più lavorare, arriva a dare fuoco ad una banca per un momento di follia scatenata dalla chiusura dei fidi. Il campionario del disagio è vasto, composito, difficile da inquadrare in schemi precostituiti. La complessità di questo fenomeno sociale, covato per molto tempo accudito da una crisi economica devastante in grado di desertificare il nostro sistema produttivo, di fiaccare il nostro motore, merita di essere analizzato ed interpretato senza pregiudizi, con umiltà ed attenzione. Questo legittima la protesta? No, non deve essere legittimata o cavalcata, sarebbe la fine e la consegna nelle mani di incendiari. Ma agire trattando con disprezzo e sufficienza le ragioni profonde di questo disagio è altrettanto folle. Compito della politica, a mio parere, è incanalare in modo democratico e pacifico le ragioni del disagio sociale, chiudendo la fase delle promesse e passando a “fare” le cose: la parte più “normale” della protesta è fatta da piccoli imprenditori ammazzati a tradimento dal fisco vorace, dall’Agenzia delle Entrate guidata da Befera, da tutto un grumo burocratico, da una politica inconcludente che sta abbattendo la fiducia e scatenando una rabbia pericolosa. Questo per loro è lo Stato. Questo deve essere compreso e combattuto con l’unica arma possibile: quella di mettere in campo provvedimenti drastici e radicali, che diano risposte vere. Anche sull’Europa è il momento di dirsi la verità: così come è non reggerà, inutile raccontarsi il contrario. Ciascuno, oggi, tutela i propri interessi, senza ragionare in ottica sinceramente europea. L’unione bancaria, che avrebbe dovuto essere totale, è stata parzialmente svuotata di significato, non si vede traccia di un sistema di difesa unico o di una politica estera comune. Il saggio del Prof. Guarino ha evidenziato la possibilità di “superamento” coatto dello spirito dei Trattati fondativi. La crescita rapida dei movimenti nazionalisti, come il Front National, Alba Dorata, il partito di Orban (che aderisce al PPE), i nazionalisti di Wilders, i movimenti euroscettici nel nord Europa, dimostra che il malcontento europeo è forte. Lo stesso Romano Prodi, convinto europeista come pochi, contesta in modo ragionato e fermo la deriva assunta dalla costruzione europea, sempre più storta e incapace di dare le risposte di prosperità, benessere e libertà che garantisce l’articolo 1 del Trattato di Maastricht. Serve l’Europa, su questo non ci piove. Ma serve una vera Europa unita, non un disordinato insieme di Paesi privo di qualsiasi sogno ed obiettivo positivo.

Il tempo che viviamo è ricco di complessità, è nostro compito analizzare le cose non con schemi precostituiti ma con nuove modalità interpretative, più aderenti alla realtà e al contesto sociale in cui siamo calati e meno a costruzioni ideologiche che non possono essere applicate sempre e comunque. La democrazia come la libertà è un bene che va preservato giorno dopo giorno, che non ci è donato ma che ci conquistiamo quotidianamente.

Piero Calamandrei diceva

La democrazia per funzionare, deve avere un Governo stabile: questo è il problema fondamentale della democrazia. Se un regime democratico non riesce a darsi un governo che governi, esso è condannato. A chi dice che la Repubblica presidenziale presenta il pericolo delle dittature, ricorda che in Italia si è veduta sorgere una dittatura non da un regime di tipo presidenziale, ma da un regime di tipo parlamentare, anzi parlamentaristico, in cui si era verificato proprio il fenomeno della pluralità di partiti e della impossibilità di avere un governo appoggiato da una maggioranza solida che gli permettesse di governare.

Di stabile oggi non c’è nulla, non un governo incapace di governare, privo di rotta e strategia se non quella della pura sopravvivenza (come afferma persino il Wall Street Journal). Se sarà la protesta a diventare stabile, nella sua forma più violenta, allora sarà game over per tutti. Nessuno escluso. Il centrodestra deve essere parte in causa di questo processo di analisi ed interpretazione. E’ nostra responsabilità, come futura classe dirigente, capire i movimenti profondi della società in cui viviamo, fornendo delle soluzioni adatte alle condizioni al contorno. Questo è fare politica.



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