Se quella di Renzi doveva essere una sfida al leader dei pentastellati, Grillo ha risposto con la solita grazia che gli è congenita, poco elegante ma piuttosto efficace. In effetti, è difficile comprendere la “sorpresina” annunciata nei giorni scorsi dal novello segretario e declinata ieri in occasione della sua ufficializzazione: perché mai dovrebbe accettare una sorta di baratto e, soprattutto, perché mai il Pd dovrebbe subordinare la restituzione dei rimborsi elettorali all’accettazione della proposta: “che c’azzecca” avrebbe detto un ex magistrato oggi politico in disgrazia? Impossibile non rimanere perplessi per come Renzi abbia commesso una gaffe, rischiando di fare uno scivolone che è costato caro al suo vecchio antagonista, quel Bersani impacciato ed umiliato in streaming, in continuo affanno quando si trovò alle prese con i delegati grillini in un disperato quanto inutile tentativo di portarli a bordo.
Ma è tutto l’esordio del sindaco ad essere caratterizzato da una grande incertezza di fondo: nei contenuti espressi e sul futuro ruolo che il partito di maggioranza relativa assumerà nelle prossime settimane: ribelle e di governo, a sinistra ma con andamento lento, con in fari puntati al Paese che sogna tra quindici anni, ma silente su ciò che occorre fare nei prossimi quindici giorni. L’adrenalina che aveva sorretto Renzi nel discorso della vittoria post primarie sembra essere già scemata in un rivolo di parole sorrette da molta disinvolta abilità d’espressione, ma nella sostanza ondivaghe: un cerchibottismo molto lontano dal Renzi prima maniera, da quello del rottamatore, il guascone ribelle in un apparato granitico come quello del Partito Democratico.
Ammicca ai temi cari alla sinistra, da quello obbrobrio demagogico dello ius soli, al sussidio per tutti i disoccupati, non dimenticando di strizzare l’occhio ai diritti degli omosessuali. Nel contempo, tuttavia, descrive il suo azionista di maggioranza, la Cgil, come quanto di più distante dalla sua visione. C’è di tutto un po’, persino una lisciatina al popolo dei lavoratori autonomi e dei piccoli imprenditori: già, anche loro votano …
Il segretario sindaco tocca anche il tema della legge elettorale, sebbene marginalmente. Riduce i termini di scadenza per la sua approvazione precedentemente annunciati a maggio spostandoli a fine gennaio, limitandosi solo a ribadire la sua vocazione per il bipolarismo. E sulle larghe intese? Solo un’eccezione. I tagli ai costi della politica? Importanti, ma non indispensabili.
In sintesi, un discorso pregno di tanti ingredienti, buoni per tutte le ricette ma la sensazione finale è quella che sia proprio la ricetta a mancare al nuovo chef della politica italiana. Smessi i panni del rompipalle e vestiti quelli da segretario, l’onore e la credibilità del monello “prendi tutto” rischia di deludere quanti lo hanno eletto segretario, molti di questi a prescindere dalla loro appartenenza politica, ma che gli avevano assegnato un preciso compito, peraltro motivo distintivo della sua campagna alle primarie: cambiare verso.
Ieri, a Milano, dopo i giuramenti sull’onore e il decisionismo palesato nei giorni scorsi, il sindaco pare già annaspare nelle correnti e nei vizi atavici non solo del suo partito, ma anche del palazzo. Temporeggiare rischia di portarlo ad un passo dal naufragare ancor prima di uscire dal porto. Il tempo a disposizione del “ribelle” Renzi è poco ed è tiranno: pur essendone consapevole, pare tuttavia che non ne abbia ancora compreso la sua fondamentale importanza, per lui e soprattutto per il Paese. Il primo esame non si scorda mai e, senza dubbio, ieri il Matteo Renzi timido ed impacciato nella sostanza non ha superato la prima prova da leader.