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Le regole sui bond sovrani spaccano in due l’Europa

Con discrezione davvero svizzera, la Bri ha acceso una miccetta capace di far deflagrare la bomba accesa sul tavolo dei regolatori sul futuro trattamento dei bond sovrani.

Nell’ultimo Quaterly Bulletin a un certo punto, dopo un lungo studio sull’andamento del rischio nel mondo, la Bri ha infilato un box di due paginette appena che di sicuro solo pochi maniaci hanno letto con attenzione più di una volta. Si intitola “Il trattamento del rischio sovrano nello schema di regolamentazione patrimoniale di Basilea”.

Comincia così: “E’ stato talvolta affermato che lo schema di regolamentazione patrimoniale di Basilea prescrive una ponderazione di rischio pari a zero per le esposizioni delle banche nei confronti dei soggetti sovrani. Tale affermazione non è corretta”.

Bum.

Perché bum? Poco più di due mesi fa sul Financial Times è apparso un articolo del boss della Bundesbank, Jens Weidmann nel quale il banchiere esortava a spezzare il legame perverso fra titoli di stato e banche. Fra i tanti argomenti citati a sostegno della sua tesi, anche il riferimento alla circostanza che “la corrente assunzione regolamentare (Basilea II e III, ndr) che i bond governativi siano risk free è stata sconfessata dalla recente esperienza. I tempi sono maturi – conclude – per affrontare il trattamento normativo dei bond sovrani. Senza tale revisione non vedo possibilità di spezzare il legame fra banche e debito sovrano”.

Anche di recente, in una lunga intervista al Sole 24 Ore, lo stesso Weidmann ha sottolineato che “il trattamento regolamentare attuale dell’esposizione delle banche al debito sovrano crea uno svantaggio per il credito alle imprese rispetto a quello ai governi. Abolire tale privilegi avrebbe un effetto positivo sull’erogazione del credito”.

Senonché, Weidmann non dice esattamente la verità. Non sono le regole di Basilea ad aver assegnato ai titoli di stato la qualifica di risk free, ma l’interpretazione che a tali regole hanno dato le autorità europee, chiamate a recepirle.

Perciò le due pagine che “sbugiardano” il potente banchiere centrale tedesco.

Ma non è mica finita qui. Dulcis in fundo, in una piccola nota a margine, i banchieri della Bri ricordano un’altra chicca che finirà col mettere fuorigioco i bond sovrani di mezza Europa, ossia di quei paesi che non aderiscono all’euro.

Vediamo perché.

Le regola di Basilea, fra le tante altre cose, disciplinano esattamente come debba essere trattato il rischio derivante dai titoli di stato, ossia capire quanto capitale di vigilanza (concetto espresso da Basilea I) debbano avere le banche a fronte dell’esposizione in questa classe di prestiti. Lo scopo del capitale di vigilanza, che sostanzialmente è una riserva, è quello di conferire una maggiore stabilità alla banca. Come tutti i tipi di riserve, anche la quota di risorse impegnata nel capitale di vigilanza deve rimanere immobilizzata. Ergo: sono soldi che non possono essere prestati. Quindi più il capitale di vigilanza è alto, meno soldi possono essere prestati, meno sarà redditizia l’impresa bancaria.

Con Basilea I si arrivò a quantificare tale capitale con l’equivalente di un coefficiente patrimoniale dell’8%. In sostanza una semplice frazione con, al numeratore il capitale da vigilanza da accantonare, e al denominatore il totale degli impieghi. Il risultato di tale frazione doveva fare 0,08, ossia 8%.

Con Basilea II si decise di precisare meglio la quantificazione degli impieghi per associare a loro i rischi ad essi inerenti, svolgendo, a secondo della classe di asset, una certa ponderazione. La frazione, tuttavia, doveva sempre fare 0,08. Ossia il coefficienta patrimoniale doveva arrivare all’8%.

Queste regole comprendevano anche i bond sovrani. “Basilea II e Basilea III – scrive la Bri – prescrivono requisiti patrimoniali minimi commensurati al rischio di credito sottostante, in linea con l’obiettivo di assicurare sensibilità al rischio”. Quanto ai bond sovrani, “in gran parte delle giurisdizioni (ossia i paesi ai quali si applicano le regole, ndr) il trattamento verso tali esposizioni si conforma alle disposizioni contenute nello schema di Basilea II”.

Ma allora di che parla Weidmann?

La questione riguarda proprio la ponderazione dei rischi di credito, uno delle tre tipologie di rischio (insieme al rischio di mercato e al rischio operativo) che Basilea II impone alle banche di calcoare per avere più stabilità e sicurezza.

Le regole prevedono che tale rischio di credito si possa misurare in due modi. Secondo un approccio standard, che richiama le regole di Basilea I, e un approccio interno, (Internal rating based) fondato su rating interni elaborati dagli istituti di credito.

Qualunque sia il metodo usato, lo scopo è ottenere un coefficiente per ponderare gli impieghi di tutti gli asset, compresi quindi anche i bond sovrani.

Un esempio (approccio standard) aiuterà a capire. Se una banca ha un’esposizione di mille euro in titoli di stato, per sapere qual è il requisito patrimoniale che mi serve per aggiungere una somma al capitale di vigilanza devo moltiplicare l’esposizione per il coefficiente di ponderazione, che nel caso di approccio standard dipende dal rating, per 0,08 (ossia il coefficiente patrimoniale fissato da Basilea per per banche).

Quindi se il mio titolo di stato ha un rating da AAA a AA-, il coefficiente di ponderazione è zero. Significa che la mia moltiplicazione finale da zero (1000*0*0,08). Ossia che non devo accantonare niente nel capitale di vigilanza per la mia esposizione in titoli sovrani con questo rating. Se invece il mio bond sovrano ha un rating da A+ a A-, il coefficiente di ponderazione vale il 20% (0,2). Quindi la mia moltiplicazione vale sedici euro (1.000*0,2*0,08). Quindi devo accantonare 16 euro per ogni mille euro di bond sovrani con quel rating. Nel caso la mia esposizione sia verso titoli senza rating, il coefficiente vale 100% (1), e quindi il mio accantonamento vale 80 euro (1.000*1*0,08). La logica è chiara: più il titolo è rischioso, più capitale bisogna accantonare.

Se invece dell’approccio standard usiamo l’IRB, la logica non cambia, cambiano solo i risultati. In entrambi i casi i bond sovrani sono soggetti ad accantonamenti. Sempre che le giurisdizioni decidano di farlo.

E qui viene fuori il punto. “Esistono differenza sostanziali nell’applicazione delle regole di Basilea – scirive la Bri – nella varie giurisdizioni. Nell’Unione europea le autorità hanno accordato agli organi di vigilanza la facoltà di consentire alle banche che seguono il metodo IRB di continuare ad applicare in via permanente il metodo standardizzato alle esposizioni verso soggetti sovrani”. Quindi le banche dell’Ue possoo applicare il metodo standard (basato sui rating) per prezzare il rischio sui bond sovrani.

Ma non finisce qui: “Inoltre – aggiunge – le autorità della Ue hanno posto pari a zero la ponderazione di rischio da applicare non soltanto alle esposizioni sovrane verso soggetti sovrani denominati e finanziati nella moneta dello stato membro corrispondente, ma anche alle esposizioni di questo tipo denominate e finanziate nella moneta di qualunque stato membro”.

Quindi non erano le regole di Basilea l’oggetto degli strali di Weidmann, ma le “autorità europee” richiamate dalla Bri. Come dire, parlare a nuora perché suocera intenda.

La sottolineatura della Bri merita un approfondimento. Se l’Ue non avesse messo un coefficiente zero per tutti i bond sovrani dell’Unione, le banche sarebbero state incoraggiate a finanziare solo il debito più sicuro, per non avere ricadute sul proprio capitale di vigilanza. La clausola del risk free sarebbe valsa solo per i paesi più forti, non per gli altri.

La scelta di applicarla a tutti però, non soltanto a quelli dell’eurozona, ma a tutti gli stati dell’Unione, ha provocato l’effetto opposto: ha azzerato il rischio per qualunque titolo di stato dell’Ue. Todos caballeros.

Non valendo per i bond degli altri statiextra Ue, questa regola ha favorito una sorta di dumping finanziario: le banche europee erano incoraggiate a comprare debito sovrano europeo, sostanzialmente.

Ciò ha sicuramente fornito un notevole incentivo ai prestiti transfrontalieri da parte delle banche dei paesi core a quelle dei Piigs, tanto per cominciare, mettendo ottime radici alle futura crisi degli spread.

Tale regime vige tuttora, essendo stato confermato anche da Basilea III e, soprattutto dalla quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (CRD IV), approvata nel giugno scorso, che entrerà in vigore nel gennaio 2014.

Quest’ultima ha cambiato però un elemento molto importante.

L’articolo 114 del regolamento, infatti, conferma un coefficiente di ponderazione pari a zero per le esposizioni verso la Bce (comma 3) e verso le banche centrali e i bond delle ammnistrazioni centrali emessi in valuta nazionale (comma 4). Quindi se una banca rumena è esposta verso titoli di stato rumeni, questi titoli saranno considerati risk free. Il comma 5, però, cambia le regole del gioco per gli altri bond.

Quest’ultimo, infatti, dispone che fino al 2017 valeva la vecchia regola di un coefficiente zero per qualunque bond sovrano dell’Ue, quindi anche diverso da quello emesso in valuta nazionale. Nel nostro esempio, una banca rumena aveva rischio zero anche per un titolo cipriota o tedesco. Ma nei successivi tre anni questa regola cambierà. Per i titoli di un altro stato europeo, emessi in valuta diversa da quella nazionale, le banche acquirenti dovranno iniziare a ponderare i rischi. Quidi, tornando al nostro esempio, se una banca rumena comprerà un titolo tedesco o cipriota, dal 2018 in poi dovrà aumentare il capitale di vigilanza.

Una rivoluzione.

Nel 2018 (comma 6 lettera a) il coefficiente di ponderazione sarà pari al 20% del fattore di ponderazione assegnato a quel titolo. Se io ad esempio ho un titolo di stato con un rating da BBB+ a BBB-, che prevede un fattore di ponderazione del 50%, nel 2018, il mio coefficiente di ponderazione sarà il 20% del 50%, quindi il 10%. Nel 2019 (comma 6 lettera b) il coefficiente di ponderazione sarà il 50% del fattore di ponderazione (nel mio esempio il 50% del 50%, ossia il 25%); nel 2020 (comma 6 lettera c) il coefficiente di ponderazione sarà il 100% del fattore di ponderazione. Quindi nel mio esempio sarà il 100% di 50%, ossia il 50%.

Questa rivoluzione silenziosa renderà sostanzialmente più caro per le banche dell’eurozona detenere titoli di altri extra euro e viceversa. I bond sovrani denominati in euro, infatti, rimarranno a rischio zero (per la sicura infelicità di Weidmann), mentre quelli extra-euro verranno di fatto assimilati a bond sovrani esteri.

In pratica l’Europa si spacca in due.

Un potente incentivo a entrare nell’unione monetaria, o almeno in quella bancaria.

E di sicuro a non uscirne.

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