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Così Letta può togliere i “forconi” dalle mani di Grillo (e Renzi)

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma

E al terzo giorno di proteste, Silvio Berlusconi decise di non inforcare i Forconi. Salta l’incontro del Cavaliere con i rappresentanti del movimento per molti versi ancora indecifrabile e con troppi ultrà. Ma che, piazza dopo piazza, sta infiammando il disagio degli italiani. Intanto in Parlamento va in scena un altro film. Prima alla Camera e poi al Senato il presidente del Consiglio presenta la sua nuova maggioranza. Meno larga “ma più coesa”, rivendica Enrico Letta per ottenere la fiducia, e l’ottiene. E invoca un “nuovo inizio”. E giura che il suo governo non tollererà più il caos di dimostranti che mescolano, pericolosamente, indignazione civica con azioni e minacce incivili. Con piglio insolito il sempre gentile Letta ha aperto una polemica durissima con Beppe Grillo, esortandolo a “non incitare alla violenza”. E sollecitando i grillini a non mettere la gogna ai giornalisti, con urla e accuse di “fascismo” volate in un’aula tesa come lo è il Paese. La replica di Grillo (“Letta offende e mente”) conferma il dialogo tra sordi che più sordi non si può.

UNA NUOVA STRATEGIA
È la prima volta dell’intera, ancorché breve, legislatura, che il Movimento 5 Stelle è indicato in modo tanto plateale come una sorta di “avversario principale” di tutti gli altri partiti. Non è tattica, stavolta. È l’effetto-Renzi, cioè nuova strategia, visto che, in tutte le sue dichiarazioni da leader del Pd fresco di vittoria, Matteo da Firenze non ha perso occasione per contrapporsi ai grillini, anziché per corteggiarli come faceva il precedente e più gongolante Pierluigi Bersani, colpito e affondato dallo streaming che non divenne feeling.
Delle notevoli differenze che, almeno a parole, già si intravedono dopo il terremoto nel partito-guida del centro-sinistra, questa della sfida a Grillo sul suo terreno è la più evidente.

EFFETTO RENZI
Così si spiegano le tre questioni quasi pregiudiziali poste da Renzi alla maggioranza, e finora ignorate dal Palazzo (ma cavalcate dagli stellari): robusto taglio ai costi della politica, nuova legge elettorale bipolare e misure rapide per rilanciare il lavoro che non c’è. “Nuovo inizio”, ha riassunto Letta, che ha tutto l’interesse ad assecondare la marcia trionfale di Matteo, e a rassicurare i cittadini sul rischio, molto concreto, che la protesta per strada degeneri di giorno in giorno e di luogo in luogo. Coi Forconi che già prospettano il blocco dei Tir e una prossima manifestazione nazionale a Roma.

IL CORRIDOIO STRETTO DI LETTA
Proposta e protesta sono, dunque, divise dal portone del Palazzo. Ma nel primo caso il tempo è scaduto per la maggioranza. Il Letta ora coeso e sostenuto da Renzi alle condizioni di Renzi, non può più permettersi di rinviare le decisioni per cambiare musica, né di liquidare la furia un po’ “forchista” e un po’ forcaiola della piazza come pura questione di ordine pubblico. Il dilemma non è se i poliziotti debbano o non debbano togliersi il casco davanti a chi urla la sua rabbia per strada posto che, a fronte di episodi di illegalità, è dovere dello Stato la difesa del cittadino, del consumatore, del negoziante vittima di soprusi o di violenze. Senza indugi.

RISPOSTE CHE MANCANO
Il problema davvero insidioso è come rispondere subito al disagio sociale e alle difficoltà economiche che sfociano o diventano l’alibi pericoloso della protesta. Mai come adesso è chiaro che il governo potrà arrivare e persino superare l’agognato traguardo del 2014. Ma vi riuscirà soltanto se la gente avvertirà che le cose stanno cambiando, che i tanti sacrifici già fatti avranno un senso, che l’esistenza di un esecutivo che decide è mille volte meglio di un esecutivo che promette. Nessun “impegno 2014”, per citare le parole di Letta, nessun nuovo piano per la ripresa potrà godere di credibilità, se non avrà la fiducia non delle Camere, pur necessaria, ma degli italiani. Se ai Forconi sono bastati tre giorni per guadagnarsi i titoli in prima pagina, e gli avvertimenti del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e i dubbi su chi veramente essi siano, è perché la pazienza di tanti è finita. Anche di quelli che hanno scelto l’innovatore Renzi nel partito più organizzato: voglia di cambiare, basta tramandare. Sarebbe un disastro, allora, se il governo non sapesse ascoltare il grido di dolore che si leva, e non in piazza ma in silenzio, in tante parti, case e famiglie d’Italia.

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