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Letta, Renzi e le piccole intese che fanno traballare l’esecutivo

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma

Non che gli italiani, dopo trent’anni di chiacchiere vibranti, ci avessero fatto molto affidamento. Ma adesso che le grandi intese, come il caffè, si sono ristrette, svanisce l’illusione di quella riforma con tanto di “comitato dei saggi” che l’ispirava e di Quirinale che l’invocava. Addio sogni di gloria. Sarà già molto se quel che resta di una legislatura con meno di un anno di vita pericolosamente vissuta, riuscirà ad approvare una nuova legge elettorale. Magari sperando in un aiutino della Corte Costituzionale, che domani è chiamata a pronunciarsi sulla legge-porcata detta Porcellum (col latinorum suona meglio).

UN ACCORDO DIFFICILE
D’altra parte, era difficile immaginare che una maggioranza destra-sinistra, divisa su tutto, potesse trovare un accordo proprio sulle regole del gioco. E così il fallimento delle Bicamerali compie il suo trentesimo compleanno, se si ricorda che fu il liberale Aldo Bozzi ad accendere, da presidente della prima commissione istituita in Parlamento per rinnovare la Costituzione, la prima candelina nel lontano 1983. Ci risparmino, allora e per favore, ulteriori promesse che taglieranno il numero sopraelevato di 945 parlamentari, che aboliranno il Senato, che restituiranno allo Stato le competenze sottratte nel raptus federalistico a favore delle incapaci, inefficienti e scandalose -in tutti i sensi- Regioni. L’unica verità sotto gli occhi di tutti è che una buona parte dei contribuenti continuerà a pagare una parte dell’Imu, oggi Iuc, che era stata eliminata per la prima casa. L’ennesima e pietosa bugia di una legge di stabilità che ha deluso quanti speravano che il governo di “pronto soccorso” soccorresse almeno l’economia.

L’ASCESA DI RENZI
Festeggiate, politici, festeggiate, che fra pochi giorni arriva un altro compleanno. Salvo improbabili sorprese, Matteo Renzi sarà incoronato alla guida del Pd. Da quel momento il sindaco di Firenze diventerà, per il governo, un leader potente e perciò insidioso. Ancor più insidioso del Cavaliere disarcionato dal Senato e desideroso di “fargliela pagare” a Enrico Letta e ai suoi infidi alleati, a cominciare dalla pattuglia del cosiddetto Nuovo centrodestra. Ma la moda dei governi appesi alle assisi di partito era roba da prima Repubblica! La seconda anche in questo ha preso al meglio il peggio di essa, se si pensa che perfino la “verifica” della maggioranza – altro vocabolo di quella preistoria -, è stata posticipata all’esito dell’8 dicembre, il giorno delle primarie che chiuderanno il cerchio. Con Renzi finalmente insediato, Letta confida o forse solo spera di ribattezzare senza scossoni la maggioranza di sinistra-centro di cui è alla guida. Un’altra fiducia per superare il rischio di elezioni anticipate a primavera e tagliare l’agognato traguardo della presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea, che scade alla fine del prossimo anno, e inizio dell’Expo universale a Milano.

UN ESECUTIVO DI EMERGENZA
Ma anche le parole perentorie usate da Renzi dopo il grigio dibattito televisivo con i suoi competitori Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati detto Pippo, forse la sola novità “mediatica” dei tre, autorizzano a nutrire dubbi e a coltivare sospetti. “Riforme e lavoro o usciamo dalla maggioranza”, ha già avvisato il segretario del Pd in pectore, chiedendo un “esecutivo di emergenza”. Anche dal punto di vista temporale il concetto di emergenza implica un periodo limitato e delimitato del governo che rinascerà. Con un’ulteriore aggravante: che succede se tale esecutivo, bombardato dagli extra-parlamentari Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, con i “vaffa” anti-istituzionali in piazza e la campagna per le europee alle porte, non riesce ad affrontare neanche l’”emergenza”? E può un esecutivo dalle piccole intese riuscire laddove s’è finora impantanato l’esecutivo delle larghe intese, cioè nell’avviare la benedetta ripresa con forza, serietà e durata nel tempo?
Intanto, il partito secondo Matteo è in fibrillazione. Ma se anche lui, il predestinato da Firenze, dopo le primarie di domenica prossima si presenterà scamiciato, a metà tra Kennedy e Perón, Enrico Letta faccia attenzione: tre extra-parlamentari comincerebbero a essere troppi anche per le sue larghe spalle di democristiano.

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