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Tutti i lucrosi scambi fra governo e banche

Il decreto sull’eliminazione della seconda rata dell’Imu, deliberato mercoledì scorso dal Governo contestualmente alla rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia ha fatto saltare per aria il gentleman agreement costruito con pazienza ed infinita cautela per mesi: si è dimostrato una beffa, bella e buona, ma finalmente ha messo a nudo la fragilità delle prospettive per il 2014: sistema bancario in stallo e crescita zero per l’economia.

L’INTESA BANCHE-GOVERNO

Cominciamo dalle banche. L’intesa era di sostenere il Governo con una anticipazione di cassa entro fine d’anno, con un aumento dei versamenti per Ires ed Irap al fine di dare copertura alla eliminazione della seconda rata dell’Imu sulla prima casa. La ragione era tutta politica: si voleva evitare a tutti i costi di darla vinta al PDL, che dell’eliminazione dell’Imu sulla prima casa aveva fatto la bandiera della sua campagna elettorale. Bisognava quindi tirarla per le lunghe, un giorno dopo l’altro. Per le banche, in ballo c’era la tanto attesa rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia, che avrebbe consentito loro di aumentare il proprio capitale, seppur pagando l’imposta sulla rivalutazione. Un vantaggio patrimoniale permanente per le banche a fronte di un consistente incasso fiscale una tantum per lo Stato, in grado però di sbloccare una situazione politica complessa: alla fine, però, tutti felici e contenti. Un bel vantaggio per il Governo, che doveva mascherare il più a lungo possibile il ripristino dell’Imu sulla prima casa: la soppressione nel 2013 è una tantum.

IL PROVVEDIMENTO D’URGENZA

Si è arrivati così al provvedimento d’urgenza sulla eliminazione della seconda rata dell’Imu, assunto solo a fine novembre, quando ormai ogni altra possibilità era stata deliberatamente preclusa, non essendo stata approvata la revisione organica dell’intera imposizione sul settore immobiliare che era stata promessa entro gli strombazzati 100 giorni di Governo.
La soluzione ipotizzata non chiudeva il buco dei conti: un aumento del versamento in acconto per banche ed assicurazioni su Ires ed Irap, pari al 130% dell’imposta, sarebbe stato considerato come un prestito forzoso da restituire nel 2014, essendo un anticipo di imposta e non un acconto. La toppa è stata peggiore: per il 2013, infatti, l’Ires pagata dalle banche sale del 30%, elevando l’aliquota dal 27,5% al 36%. L’acconto rimane invariato nella misura da versare, ma percentualmente cala al 100% rispetto alla nuova aliquota: è stato incrementato il denominatore.

I RUOLI SI INVERTONO

Invece di essere le banche a farsi vanto per aver dato loro una mano d’aiuto al Governo, se la sono ritrovata che frugava nella loro saccoccia: una rapina fiscale. Per di più l’onere è a carico del 2013, anno di riferimento per l’esercizio straordinario di supervisione unificata da parte della Bce, che fotograferà i conti al 31 dicembre. Oltre a tutte le altre questioni in ballo, ne risulterà un utile post-tassazione ancora più misero. Andare poi a spiegare al mondo che l’aumento dell’Ires è solo una tantum per il 2013 rischia di suscitare l’ilarità generale. Un altro colpo sotto la cintura.
Si badi bene, la maggiorazione dell’Ires al 36% riguarda anche le assicurazioni, che non hanno alcun interesse nella rivalutazione delle quote di Banca d’Italia. Neppure tanto strano, quindi, il downgrading di Generali, annunciato appena un paio di giorni fa, per via dell’elevato portafoglio di titoli di Stato. E’ stato un campanello d’allarme suonato d’anticipo, di cui nessuno ha voluto afferrare il sottinteso: al Ministero dell’economia raccattano i soldi dove capita, massacrando l’economia di tasse.

IL RISCHIO PER IL SISTEMA

Il rischio ora è che il sistema del credito si irrigidisca ancora di più, perché altra cassa andrà al fisco e non alle imprese. L’ultimo Monthly Outlook dell’Abi, riferito al mese di novembre, mette in fila cifre impietose e tendenze preoccupanti. La raccolta presenta due profili di criticità: quella estera continua a diminuire, visto che nell’ultimo anno il flusso netto è diminuito di 9 miliardi di euro. Questa somma si ritrova sostanzialemte identica come maggiore sottoscrizione di debito pubblico dall’estero: in pratica, si è ricomposto il portafoglio degli investitori, che hanno spostato l’impiego dalle banche ai titoli di Stato. In secondo luogo, c’è una maggiore tendenza verso i depositi liquidi: in un anno, lo spostamento dalle obbligazioni bancarie verso i depositi in conto corrente è stato di 50 miliardi di euro. Questa tendenza, che sottende la dffidenza verso impieghi bancari a medio-lungo termine, impatta sulla tipologia degli impieghi, abbreviandone le scadenze, ed induce ad aumentare i margini di disponibilità liquide.

ANCHE GLI IMPIEGHI CONFERMANO LA TENDENZA ALLA CONTRAZIONE

Sul versante degli impieghi, si conferma la tendenza alla contrazione del credito, che si apprezza in tutta la sua durezza considerando le tendenze degli ultimi 24 mesi: fra l’ottobre del 2011, alla vigilia dell’insediamento del Governo Monti, e l’ottobre scorso, il settore privato ha visto contrarsi il credito di 95 miliardi di euro (passato da 1.692 a 1.597 miliardi), con un ritmo accelerato. Ai -31 miliardi di credito registrati nei primi 12 mesi (una contrazione del 2% del pil) ha fatto seguito una ulteriore riduzione di 64 miliardi di euro tra ottobre 2012 ed il mese scorso (pari al 4% del pil). In totale, il credit crunch nominale è stato pari al 6% del pil. Considerando però che il pil reale è calato complessivamente del 4,2% (-2,4% nel 2012 e -1,8% nel 2013), il contributo del minor credito al calo del pil si è concentrato negli ultimi 12 mesi.

UNA CONSIDERAZIONE A PARTE

La questione delle sofferenze bancarie va considerata a parte: in valore lordo sono arrivate a 145 miliardi di euro, mentre al netto valgono 75 miliadi. Quest’ultimo ammontare corrisponde al 4% degli impieghi ed al 19,6% della somma di capitale e riserve. Le sofferenze sono aumentate di 42 miliardi di euro in due anni, di 27 negli ultimi 12 mesi, e di 14 negli ultimi sei mesi. L’incremento medio, che è di 1,75 miliardi se computato su 24 mesi, sale a 2,3 miliardi nell’ultimo semestre. Facendo il consueto paragone, le sofferenze nette sono ormai pari al 5% del pil, mentre quelle lorde arrivano al 10%. Che i banchieri siano preoccupati di questa situazione, è ovvio.
Purtroppo, ci aspetta un anno di stallo, sia sul versante del credito sia su quello dell’economia reale. Nessuno ha voluto ancora sollevare il velo sui conti del 2014: il prelievo sulla prina casa tornerà, con un qualsiasi nome di fantasia, per dare copertura ai servizi indivisibili, quelli che prima venivano pagati con l’Imu sulla prima casa.

I NUMERI DEL PIL

Finite le una tantum, il previsto aumento del pil del pil, +0,7% nel 2014, si azzererà. Il conto è presto fatto: l’equilibrio strutturale dei conti pubblici, con un onere per interessi di 90 miliardi di euro, comporta comunque un deficit di bilancio pari al 3% del pil. La colpa è del ciclo negativo innestato dall’accumulo spropositato delle correzioni fiscali: l’effetto deflattivo, pari al -2,4% del pil nel 2012, si è ridotto di 0,6 punti nel 2013, con un calo del pil dell’1,8%, sostanzialmente per merito della eliminazione dell’Imu sulla prima casa, che vale 4,5 miliardi di euro e che quest’anno ha avuto coperture che non hanno inciso sull’economia reale. Nel 2014, con la reintroduzione dell’Imu sulla prima casa e con la ulteriore frenata del credito per via della oggettiva situazione delle banche, il pil resterà a zero. Nella migliore delle ipotesi, il debito crescerà ancora di un altro 3% sul pil, visto il deficit.
Sull’abbattimento del debito e la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni si continua a perdere tempo: un equilibrio strutturale della finanza pubblica che spesi interessi di mercato su un debito pari al 130% del pil, e che addirittura lo riduca senza creare deflazione, è pura fantasia. La fantasia al potere.



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