Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Egregio direttore,
Formiche.net segue da tempo e con interesse il percorso che ha portato alla nascita dell’associazione ALI. Spero quindi che voglia ospitare sul webmagazine che lei dirige la traccia del mio intervento alla convention milanese di sabato 30 novembre.
Spero di poter essere utile, nel mio piccolo, al dibattito che i riformatori e i liberali stanno animando in queste settimane.
Molte grazie per la disponibilità.
Piercamillo Falasca
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1. L’Italia non sta male per colpa dell’Europa o dell’euro o della globalizzazione, l’Italia sta male per colpa dell’Italia.
– Nel 1999 l’adesione alla moneta comune offrì alla politica italiana l’unico vero “tesoretto” mai esistito: un risparmio stratosferico di 700 miliardi in 12 anni conseguito grazie alla riduzione dei tassi d’interesse sul debito pubblico.
– Il fallimento di Berlusconi al governo, e di Prodi nei suoi 2 anni di tasse e spese, è aver letteralmente bruciato queste risorse. Avremmo potuto abbassare la pressione fiscale, riformare la scuola, l’università, il welfare, abbattere il debito. Nulla, nulla. La Germania si riformava, noi no: hanno lasciato aumentare a dismisura la spesa sanitaria delle Regioni – che non era migliore sanità, ma clientelismo e malaffare. La Lega ci ha fregato, il vero federalismo lor signori non sanno nemmeno cosa sia, abbiamo solo un regionalismo egoista della spesa.
– Quando è arrivata la più grande crisi finanziaria ed economica dal dopoguerra ad oggi, l’Italia è stata colta nella sua totale fragilità. Le imprese hanno sofferto lo Stato ladro, per dirla con Oscar Giannino, che tassa tanto e non paga i suoi crediti. La politica ha perso anche quel briciolo di credibilità che le era rimasto. Il mercato del lavoro, diviso pericolosamente tra privilegiati ed esclusi, come ci ricorda sempre Pietro Ichino. Negli anni Settanta e Ottanta – dati de lavoce.info – un 30enne guadagnava più della media della popolazione attiva. Oggi molto meno della media. Questo è il declino. Una generazione che non può mettere nulla da parte, per aprire un’impresa, per una casa, per una famiglia. Una generazione che sta emigrando, che sta costruendo la sua Italia altrove.
2. L’Italia non uscirà dalla crisi chiedendo l’elemosina all’Europa, ma riformando radicalmente se stessa. Molti di voi sottolineano spesso che il governo Monti avrebbe dovuto fare di più. È vero. Abbiamo tutti applaudito la riforma Fornero sulle pensioni, abbiamo tutti pagato la patrimoniale dell’IMU a fine 2011, e ci aspettavamo di più: più liberalizzazioni, privatizzazioni, apertura delle professioni e del lavoro. I sacrifici del 2011 dovevano trasformarsi in un investimento per la crescita. Sono stato testimone oculare, una notte nel foyer della Commissione Bilancio alla Camera, di come la solita politica smontò pezzo per pezzo il decreto liberalizzazioni. Il governo tecnico lasciò fare, purtroppo. Monti preferì proteggere la tenuta del sistema, si ritenne che una crisi di governo sarebbe stata fatale, si aspettava il Consiglio europeo del giugno 2012, quello dello scudo anti-spread. Col senno del poi, dico che Monti si fidò troppo di troppi cialtroni, sia durante il suo governo, che dopo… Che errore abbiamo fatto!
Eppure, nonostante tutto, quel governo tecnico ha restituito temporaneamente all’Italia un bene prezioso, che Berlusconi ci aveva tolto: la credibilità, la possibilità di sederci al tavolo europeo con dignità e capacità negoziale.
Solo un’Italia forte ha da guadagnare dall’Europa. Forti, sì, ma per chiedere cosa?
– Che l’Europa ritrovi la sua vocazione liberoscambista e apra concretamente i negoziati con gli Stati Uniti per una grande area atlantica di libero scambio.
– Che il Mediterraneo torni ad essere protagonista, perché dall’altra parte del mare c’è un continente enorme e giovane che chiede sviluppo, commercio e che può offrire opportunità alle imprese europee; se vogliamo fermare il dramma dei disperati che attraversano il mare, dobbiamo guardare all’Africa con gli occhi dei mercanti. Non lasciamo l’Africa alla Cina!
– Che l’Europa non sprechi le sue risorse nell’antistorica Politica Agricola Comune, ma aumenti semmai le risorse investite per la ricerca, le borse di studio, le infrastrutture.
3. A noi interessa che l’Italia diventi più occidentale, più europea, non ci interessano banalmente le elezioni europee. Ci interessa che l’Europa sia di nuovo un continente di libertà. Tra le 6 mosse di ALI, c’è scritto “Europa meno divisiva”. È un’idea di Fabio Pazzini, uno dei soci fondatori dell’associazione, ed è una bella idea. Non saremo mai degli euro-entusiasti, non siamo beceri nazionalisti anti-euro, siamo liberali europei, siamo liberisti europei. Attenzione, però: guai a pensare che un progetto politico che voglia “fermare il declino dell’Italia” debba avere come obiettivo le elezioni europee del 2014. Dare un seggio a qualcuno non ci interessa. Saranno importanti le Europee, ma i liberali debbono avere lo sguardo lungo. Abbiamo fatto troppi errori di breve periodo: ora si deve invece lavorare per costruire anche in Italia una forza riformatrice, liberale e laica, che duri nel tempo, che partecipi alle sfide amministrative. Vorrei che ALI fosse un progetto a scadenza, come vorrei che tra un po’ non esistessero più né SC, nè FARE, nè altre sigle. Vorrei che tutte le persone di buona volontà e passione liberale – sono tantissime, dovunque – abbiano finalmente la loro casa comune. L’Italia è un paese così bello, occupiamocene.