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Notturno polacco

Se l’economia fosse musica, si potrebbe dire che quella polacca somigliava a una bella mazurca. Una danza di coppia frizzante, per lo più con la vicina Germania, suonata a ritmo sostenuto da un’orchestrina infaticabile e low cost.

Il distratto popolo europeo si è goduto questa musica da lontano, insieme ai vantaggi offerti dal poter contare su un mercato del lavoro così accogliente. Ma essendo distratto non si è accorto che la musica, intanto, cambiava.

L’orchestrina iniziava a perdere il tempo.

Il cambio di marcia però non è sfuggito (e figuriamoci) ai ministri dell’Ecofin. Pure se impelagati nella difficile trattativa sull’Unione bancaria, hanno trovato il tempo di comminare una sonora bocciatura alla Polonia, come farebbe ogni bravo direttore d’orchestra di fronte a una stonatura.

Per chi non lo ricordasse, la Polonia è sotto procedura per deficit eccessivo dal luglio 2009, quando il Consiglio europeo diede al paese tempo fino al 2012 per correggere il suo deficit fiscale.

Il Consiglio europeo ha preso atto che la Polonia ha fallito l’obiettivo di riportare il deficit sotto il fatidico 3%, così come prevedeva l’ultima raccomandazione che le era stata rivolta nel giugno scorso, quando si decise di spostare il termine al 2014, tenuto conto del grande sforzo fiscale compiuto nel frattempo. Considerate che nel 2010 il deficit fiscale aveva raggiunto il 7,9%, arrivando al 5% nel 2011.

Nel 2012 il deficit si è collocato al 3,9%, ma le prospettive non sono incoraggianti.

Ne è venuta fuori un’altra raccomandazione, nella quale il Consiglio dà un altro anno di tempo, fino al 2015, per arrivare alla correzione, che non sarà semplice né indolore per la Polonia.

Secondo le previsioni della Commissione Ue, infatti, la Polonia mancherà il target del deficit al 3,6% fissato dal Consiglio nella raccomandazione di giugno, anche in ragione del fatto che l’aggiustamento fiscale ottenuto dalla Polonia nel corso dell’anno (lo 0,3% del Pil) è stato parecchio inferiore rispetto a quello richiesto dalle autorità europee (0,8%).

Né andrà meglio l’anno prossimo. La Commissione prevede un surplus della spesa generale del governo pari al 4,6% del Pil, ma dovuto solo al traferimento una tantum degli asset detenuti dai fondi pensione nella contabilità pubblica, che le nuove regole previste dal sistema di contabilità europeo (ESA 2010, che ha sostituito ESA 95) non considera come misura valevole per la riduzione del deficit fiscale.

Neanche fossero soldi falsi.

“In uno scenario a politiche invariate – scrive il Consiglio – la correzione del deficit nel 2014 non sembra sostenibile, visto che la Commissione prevede un deficit del 3,3% nel 2015. In ragione di ciò il Consiglio ha concluso che le azioni intraprese dalla Polonia, in risposta alle raccomandazioni di giugno 2013, non sono state sufficienti”.

Rimandata al 2015.

La proroga è dovuta anche alla circostanza che “l’aggiustamento richiesto è il risultato del cambio delle regole contabili da ESA 95 a ESA 2010″.

Poi dice chele regole non fanno la differenza.

Servirà una robusta correzione per aggiustare il deficit per il 2014 e centrare l’obiettivo entro il 2015. In particolare, il Consiglio ha fissato un target del 3,9% per il 2014 e del 2,8% (al netto del trasferimento degli asset dei fondi pensione) per il 2015. Per riuscirci, la Polonia dovrà tirare la cinghia, arrivando a un miglioramento del bilancio pubblico dell’1% nel 2014 e dell1,2% nel 2015.

Mica bruscolini.

Anche perché la situazione generale della Polonia ha alcune luci e molte ombre.

Nell’ultimo staff report dedicato al paese a luglio scorso il Fmi notava che “l’economia ha rallentato notevolmente a causa della debolezza dei principali partner commerciali, alla contrazione degli investimenti pubblici e alle incertezza del consumo delle famiglie”. “La turbolenza nel mercati finanziari globali ha aumentato la volatilità dello zloty”, sottolineava il Fmi.

La principale vulnerabilità della Polonia nasce dalla stessa sua fortuna, ossia l’essere molto interconnessa con alcuni paesi dell’eurozona, segnatamente con la Germania che “aumenta l’impatto (positivo o negativo) degli shock esterni”.

I numeri parlano chiaro. Circa il 70% del prodotto nazionale aggiunto è esportato e consumato in Europa e circa il 90% degli investimenti diretti che arrivano in Polonia (che valgono circa il 36% del Pil) origina dall’Europa. Quindi se l’Europa starnutisce, la Polonia si becca una febbre.

Lato finanziario, la Polonia ha debiti con le banche estere che valgono il 60% del Pil, l’80% dei quali proviene da banche europee. “In cambio – nota il Fmi – le banche sussidiarie polacche sono diventate un’importante fonte di guadagno per alcune banche europee”.

Al contempo è aumentata notevolmente la quota di debito sovrano in mano all’estero, specie dal 2008-9 in poi. Fino a dicembre 2008 il debito sovrano all’estero era intorno al 15%. A dicembre 2012 si era già al 35%.

In totale il debito lordo estero ha raggiunto il picco del 74% del Pil a fine 2012, oltre 350 miliardi. Per la gran parte (circa 200 miliardi) si tratta di debiti del settore privato.

Ma stando così le cose, “le esternalità negative derivanti dall’eurozona, attraverso il canale del commercio, della finanza e della fiducia, rimangono un rischio chiave della Polonia”.

In questo scenario il rallentamento dell’economia aggiunge un rischio ulteriore, lato fiscale, al contesto sfidante verso il quale è esposto il Paese.

Dalla sua la Polonia ha una situazione di riserve crescenti, di banche resilienti (pure se bisognose di ulteriore regolamentazione e gravate da una quota crescente di NPL) e un deficit di conto corrente intorno al 4% del Pil. Gran parte di questo deficit dipende dal deficit sul lato dei redditi, visto che la Polonia paga fior di cedole e dividendi ai suoi generosi investitori esteri.

In questo contesto però un ulteriore rallentamento economico avrebbe l’effetto di un fiammifero sul fuoco. Molto dipenderà dal previsto rimbalzo dei consumi privati e degli investimenti, che dovrebbero supplire al calo dell’export. Ma tali circostanze dipendono in gran parte dall’espansione del credito bancario che, al contrario di come dovrebbe, continua a rallentare malgrado la politica espansiva della banca centrale, che ha portato i tassi al minimo storico del 2,75%.

Il Fmi, a tal proposito, suggerisce che la politica monetaria accomodante prosegua, in perfetto stile eurozona.

Ma per il lungo termine il Fondo non dubita circa la necessità di profonde riforme strutturali, che riguardano il mercato del lavoro ( isalari reali ad aprile 2013 sono più bassi di aprile 2008) e il settore pubblico, che ancora pesa circa il 20% del valore aggiunto lordo, pure se le autorità prevedono di portarlo al 10.

Il consolidamento fiscale che attende la Polonia, tuttavia, farà la differenza.

I polacchi potranno consolarsi pensando che hanno pochi debiti e che quindi hanno ampi spazi per farne in nome della crescita.

Ma il futuro è quantomai incerto. Se la crescita nell’eurozona non ripartirà, anche loro inizieranno a soffrirne le conseguenze, in un contesto in cui il bilancio pubblico, dopo l’ennesima bocciatura europea, non ha più spazi di manovra.

La musica per la Polonia, insomma, potrebbe cambiare.

Più che una mazurca, un notturno.

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