“Anche per chi legittimamente si è posto dei dubbi sui confini dell’azione del presidente è doveroso chiedersi se l’anomalia di questi anni sia stato l’attivismo presidenziale o il decotto e rissoso sistema dei partiti ai quali il regime parlamentare affida in prima battuta il suo regolare e ordinato funzionamento”. (La repubblica del Presidente. Il settennato di Giorgio Napolitano, 2013, di Vincenzo Lippolis e Giulio M. Salerno)
Non mi sarei mai aspettato che anche oggi, 31 dicembre, il Corriere della Sera, seppur in vignetta, ritraesse il Presidente Giorgio Napolitano con una corona.
Che poi, cosa vorrebbe significare la vignetta di Giannelli che raffigura il Presidente uscente con un semplice copricapo e rientrante nell’anno nuovo con una corona? Forse che nel 2014 avremo una riforma in senso presidenziale o semi presidenziale? Magari. Ad ogni modo, trovo ci sia qualcosa di davvero irrazionale nel definire il Presidente come sovrano, re o monarca.
Invero, le critiche e gli attacchi che sempre più numerosi stanno piovendo addosso al Capo dello Stato appaiono decisamente strumentali e gratuiti, soprattutto là dove contestano una violazione della Costituzione, non avvedendosi che è quella stessa Costituzione a concedere al Presidente una certa ampiezza di poteri per sopperire agli stalli e squilibri istituzionali che, in larga parte, trovano causa proprio nell’anacronistico compromesso fra ideologie diverse che la legge delle leggi ha dovuto recepire.
Non è questa la sede, ovviamente, per poter passare in rassegna gli atti compiuti dal Presidente Napolitano e provare a trarne le dovute considerazioni. Il bel libro dei professori Lippolis e Salerno citato in apertura è la lettura più recente ed approfondita che sul punto si possa trovare.
Su una cosa, però, vale la pena richiamare l’attenzione, soprattutto oggi, ultimo giorno dell’anno, a poche ore dal discorso che terrà il Presidente, sotto la minaccia di boicotaggio che Beppe Grillo e Forza Italia stanno ventilando.
Per analizzare l’attività dell’attuale Capo dello Stato, si deve tenere bene a mente l’immobilismo e l’incapacità politica con cui lo stesso ha dovuto fare i conti, un immobilismo che l’attuale assetto costituzionale, a legge elettorale vigente (anche dopo l’intervento della Corte), non consentirà di superare tanto facilmente.
Sfatiamo quindi subito un mito. Il Presidente non riveste una funzione meramente simbolica. Il Presidente non è un passacarte o un cerimoniere. Il Presidente fa politica e la può fare legittimamente. Trattasi di politica con la “p” maiuscola, nel più alto senso del termine, ossia nell’interesse della Nazione e dell’unità repubblicana. Volendo ricorrere a categorie anglosassoni, potremmo dire che il Capo dello Stato professa policy e non politics. Questo è ciò che comunemente gli interpreti ritengono di colui che è prima di tutto chiamato a rappresentare (come dicevamo, non in senso meramente simbolico come potrebbe essere per il tricolore) “l’unità nazionale” (art. 87 Cost.).
Fra chi, in dottrina, ritiene che il Capo dello Stato abbia poteri di indirizzo ed impulso e possa concorrere a determinare la politica governativa e chi, per contro, ritiene che egli debba limitarsi ad essere un garante ed un custode della Costituzione, la ragione sta ancora una volta nel mezzo, in chi lo definisce un “pouvoir intermédiare”, ossia un potere che intermedia tutti gli altri per moderarli, senza possibilita’ di assumere decisioni politiche, ma con piena facoltà di influenzarle.
Che piaccia o no, dice bene la famosa sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2013 (quella che ha risolto il conflitto di attribuzioni fra il Capo dello Stato e la Procura di Palermo) quando afferma che “la ricostruzione del complesso delle attribuzioni del Presidente della Repubblica nel sistema costituzionale italiano mette in rilievo che lo stesso è stato collocato dalla Costituzione al di fuori dei tradizionali poteri dello Stato e, naturalmente, al di sopra di tutte le parti politiche. Egli dispone pertanto di competenze che incidono su ognuno dei citati poteri, allo scopo di salvaguardare, ad un tempo, sia la loro separazione che il loro equilibrio. Tale singolare caratteristica della posizione del Presidente si riflette sulla natura delle sue attribuzioni, che non implicano il potere di adottare decisioni nel merito di specifiche materie, ma danno allo stesso gli strumenti per indurre gli altri poteri costituzionali a svolgere correttamente le proprie funzioni, da cui devono scaturire le relative decisioni di merito. (…) Tutti i poteri del Presidente della Repubblica hanno dunque lo scopo di consentire allo stesso di indirizzare gli appropriati impulsi ai titolari degli organi che devono assumere decisioni di merito, senza mai sostituirsi a questi, ma avviando e assecondando il loro funzionamento, oppure, in ipotesi di stasi o di blocco, adottando provvedimenti intesi a riavviare il normale ciclo di svolgimento delle funzioni costituzionali. Tali sono, ad esempio, il potere di sciogliere le Camere, per consentire al corpo elettorale di indicare la soluzione politica di uno stato di crisi, che non permette la formazione di un Governo o incide in modo grave sulla rappresentatività del Parlamento; la nomina del Presidente del Consiglio e, su proposta di questi, dei ministri, per consentire l’operatività del vertice del potere esecutivo; l’assunzione, nella sua qualità di Presidente del Consiglio superiore della magistratura, di iniziative volte a garantire le condizioni esterne per un indipendente e coerente esercizio della funzione giurisdizionale”.
Il Presidente non può, in altri termini, formulare nuovi indirizzi politici, ma al contempo gode di un legittimo potere di dare impulso ad un cambiamento degli indirizzi esistenti e di favorirne di nuovi emergenti, agevolando così la sintesi fra le diverse forze politiche alla luce del contesto storico e sociale a cui di volta in volta ci si trova di fronte (in tal senso, in dottrina, gli autorevoli Baldassare e Mezzanotte).
Così, ad esempio, si potrà criticare Napolitano per la strumentalizzazione della nomina di Monti quale senatore a vita, ma non si potrà, poi, non riconoscere che la politica del neo senatore divenuto presto premier, nel bene (calo dello spread) e nel male (esodati), sia stata in concreto rimessa alle sole decisioni del governo.
Nella bella intervista che nell’estate 2012 Scalfari fece a Giorgio Napolitano, il Presidente illustrò il suo ruolo con una constatazione comune a molti studiosi: “quando il potere politico è forte il ruolo del Capo dello Stato resta ben circoscritto, quando la politica è debole esso naturalmente si espande“.
In seno all’assemblea costituente, il Presidente della Commissione incaricata di redigere l’art. 87, Meuccio Ruini, ebbe a chiarire che “nel nostro progetto, il Presidente della Repubblica non è l’evanescente personaggio, il motivo di pura decorazione, il maestro di cerimonie che si volle vedere in altre costituzioni. Mentre il Primo Ministro è il capo della maggioranza e dell’esecutivo, il Presidente della Repubblica ha funzioni diverse, che si prestano meno ad una definizione giuridica di poteri. Egli rappresenta ed impersona l’unità e la continuità nazionale, la forza permanente dello Stato al di sopra delle mutevoli maggioranze. È il grande consigliere, il magistrato di persuasione e di influenza, il coordinatore di attività, il capo spirituale, più ancora che temporale, della Repubblica“.
In tal modo ragionando, non troverete atti che possano giustificare un impeachment, ossia che possano ritenersi “alto tradimento” (reato politico che si integra tenendo condotte altamente lesive dell’interesse nazionale, come, ad esempio, la rivelazione di segreti a potenze nemiche) o “attentato alla Costituzione” (condotta di chi mira a stravolgere l’ordinamento costituito o la forma di governo vigente con mezzi illeciti), le uniche condotte che nell’esercizio delle sue funzioni possano giustificare una messa in stato d’accusa del Presidente.
Troverete condotte discutibili anche in Einaudi, Gronchi, Pella. Con Gronchi, in particolare, la pratica delle “esternazioni” del Presidente venne pressoché istituzionalizzata ed ampiamente utilizzata non tanto per porsi in una posizione neutra, quanto con vere e proprie funzioni di indirizzo politico, come ebbe modo di criticare Luigi Sturzo.
Si pensi anche alle riserve di Leone sulle aperture al Comunismo nelle fila dell’esecutivo o ad alcuni atti di Pertini, per non parlare del picconatore Cossiga.
Ciò non toglie che nessuno di questi Presidenti abbia attentato alla Costituzione o tradito la Nazione. Ciascuno di essi, nell’ambito del contesto storico in cui si trovarono a ricoprire la loro carica, interpretò al meglio l’interesse nazionale.
Per cui, stasera, sintonizziamoci sul Presidente della Repubblica e non sui pifferai magici che interpretano la Costituzione a loro piacimento, perché i prossimi mesi saranno determinanti per dare una nuova e più efficiente configurazione a questo Stato sgangherato (legge elettorale, bicameralismo, potenziamento dei poteri del premier o riforma semipresidenziale, meccanismi di stabilità e durata dell’esecutivo) e in questo cammino Giorgio Napolitano, di nuovo, è l’unica garanzia che abbiamo.