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Perché il mondo non è più Usacentrico

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Mentre i mercati cercano di decifrare se e quando la Fed interromperà definitivamente l’acquisto mensile di titoli di stato e festeggiano il risultato inatteso del Pil salito del 4,1% nell’ultimo trimestre, il presidente degli Usa ha inaugurato, sicuramente suo malgrado, una stagione originale della politica estera americana. Un quantitative easing nelle relazioni internazionali che, dopo quasi tre decenni di totale unilateralismo statunitense, si riscoprono molto più multilaterali e dinamiche di quanto osservatori ed esperti non avessero previsto all’inizio del primo mandato del presidente democratico.

In Siria gli Usa sono stati messi in un angolo dall’asse russo-cinese e, nei fatti, costretti ad accettare un compromesso che ha innescato relazioni sistemiche nelle relazioni pluridecennali tra Washington e mondo arabo. L’Arabia Saudita, l’alleato più importante e più strategico nella regione per gli Stati Uniti, non ha gradito l’incapacità di Obama di imporre la sua linea e sta organizzandosi per «governare» le relazioni del Golfo e del Medio Oriente a prescindere da quello che pensa o vuole fare la potenza americana. La Turchia, alleato chiave da sempre della Nato e degli Usa nella regione, è stata altrettanto spiazzata dall’incapacità americana di far saltare il regime di Assad a Damasco. Ancora peggio è andata a Kiev, un paese molto governato, fin dal periodo immediatamente successivo al crollo dell’Urss, dall’ambasciata americana nella capitale ucraina. Per spostare a suo favore l’esito della partita, il presidente russo, Vladimir Putin, ha scontato di oltre il 30% il prezzo del gas russo e offerto 15 miliardi di dollari per comprare titoli di stato di Kiev senza un rating adeguato per essere altrimenti collocati sul mercato a tassi sostenibili per l’economia ucraina. Il desiderio di sfilare l’Ucraina dall’unione doganale con Mosca, importante anche per ragioni militari non soltanto economiche, si è allontanato dalla sfera dei risultati ottenibili nel breve periodo per l’amministrazione Obama.

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