La mia biografia esistenziale e le mie idee politiche sono molto diverse da quelle di Giorgio Napolitano, il nostro presidente della Repubblica. La sua vicenda si è svolta per intero e con coerenza nell’ambito della sinistra comunista italiana: né l’indubbio acume e l’indiscutibile garbo della persona, né la sua antica militanza fra gli amendoliani e i miglioristi del Pci possono farmi dimenticare che non fu tra coloro che al tempo dei massacri di Budapest riuscirono a tranciare il cordone ombelicale con l’Unione Sovietica, come fece il suo amico Antonio Giolitti. Più ancora, Giorgio Napolitano è un uomo del Novecento, esponente di primissima fila, di quella politica delle ideologie e delle identità irrigidite che ha caratterizzato il secolo breve.
Non sarò quindi davanti al televisore per particolari simpatie verso un uomo che stimo e di cui apprezzo il rigore istituzionale, ma che non fa parte del mio “album di famiglia”. Non ho l’autorità per dire se sia il “comunista che ha salvato l’Italia” (definizione forse iperbolica, ma che ritengo abbia una parte di verità), né per avventurarmi sul terreno accidentato dei salvacondotti che secondo alcuni avrebbe dovuto garantire a Berlusconi. Per quel poco che so di Diritto Costituzionale penso che la “richiesta di impeachment” minacciata da Beppe Grillo sia una delle tante battute che non fanno ridere dell’ex-comico genovese. Ma non sarò davanti alla tv per questo, e nemmeno per fare un dispetto a Brunetta, che pensa di usare un calo di share per sostituire la proposta politica che Forza Italia non possiede.
Guarderò quel messaggio senza aspettarmi uno spettacolo magnifico, di vedere finalmente rivelate chissà quali verità o geniali invenzioni: mi aspetto un messaggio con un ragionevole tasso di banalità e persino di noiosità. Il fatto è che quel messaggio è l’Italia: è un momento in cui una Patria e una comunità si ritrovano insieme a sentir parlare di cose che ci riguardano tutti. Sarò lì, anche a nome di quanti preferiscono avere un altro po’ di tempo per organizzarsi in vista del cenone, dei molti Italiani che hanno deciso di mettere il muso all’Italia, dei miei compatrioti che sono pressati da ansie e preoccupazioni più urgenti.
Sto cercando di spiegare che non mi pongo nemmeno la questione se Napolitano sia “il mio presidente”, come cianciano i perdigiorno facinorosi dei social network. A me basta che sia il presidente della mia Patria, della mia Repubblica, della mia democrazia, Perché mi hanno insegnato a guardare in alto, ad emozionarmi per la grande bandiera che garrisce orgogliosa nel sole; non per l’uomo, più o meno piccolo, più o meno bello, più o meno capace, che ne impugna l’asta. Ed è tanto più forte la necessità di stare uniti attorno a quella bandiera quanto più forti ed aspre si fanno le difficoltà.
Nella mia famiglia, in tutto simile alla stragrande maggioranza delle famiglie, capita spesso che ci siano incomprensioni, disagi, litigi. In generale si usa questo periodo per porvi rimedio, per comprendersi meglio, per unirsi. Sarò davanti alla tv ad ascoltare Giorgio Napolitano perché l’Italia è la mia grande famiglia. E se tenerla più unita comporta un ventina di minuti di garbato sopore ad ascoltare buoni propositi e moniti, mi pare ne valga la pena.