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Perché la web tax è un problema europeo

L’emendamento sulla Web Tax rischia di diventare un casus belli nel vuoto normativo che affligge l’Europa unita e i singoli Stati. Ovviamente, un Paese come l’Italia trova idee originali per colmare una duplice esigenza, prima riempire le casse sempre a corto e poi colmare il vacuum fiscale che hanno creato all’interno degli Stati. Entrambe sono fondate su due voragini che la globalizzazione e il mercato del web hanno aperto in Europa: l’asimmetria fiscale che permette alle società multinazionali o alle holding di poter filtrare gli utili e la tassazione adatta al proprio scopo, nonché l’incapacità politico economica di determinare una tassa unica per le transazioni web e la raccolta pubblicitaria derivata dal mercato.

COME LE HOLDING FINANZIARIE
Tutti sanno che la maggior parte di queste società, alla pari con le holding finanziarie, hanno scardinato i confini e distorto le normative per conseguire i propri fini.
Il perno economico delle società del web si fonda sul principio della corrispondenza tra sede legale e posizionamento fisico dei server che gestiscono i flussi economici. Le stesse società di web marketing e advertising seguono lo stesso percorso.

DIFFICILE TASSARE
Come dare loro torto se poi in Italia o in altri Paesi europei hanno solo società di servizi e partner commerciali? Alcune le controllano direttamente per gestire la filiera dei servizi correlati, tipo Amazon per la logistica, altre le partecipano solo per fini di intermediazione, che qualsiasi studente di economia saprebbe, vengono tassate solo sulle provvigioni. In Inghilterra ci hanno provato a tassarli ma non ci sono riusciti.

IL PRINCIPIO DI SOVRANITÀ
Perché da noi dovrebbe accadere? Se il Parlamento italiano riesce a creare il primo modello di riferimento sulla tassazione del web fondato sul principio del contatto o accesso alla rete, quindi inteso fisicamente dal territorio e da uno spazio identificabile con l’ip o il numero sim dai gestori di dati mobili, dai provider e dai siti commerciali, allora potremmo parlare di un principio di sovranità strategica della Rete, i cui attori commerciali dovrebbero sottomettersi alle regole nazionali.

UN PROGETTO COMPLESSO
Un’ipotesi del genere avrebbe senso se la rete Telecom si scorporasse e di concerto con l’Agenzia delle Entrate verificasse, su dati forniti dalle società mensilmente, le transazioni e gli investimenti pubblicitari diretti ed indiretti. Uniformando la tassazione al Paese della capogruppo però. In tal modo il principio potrebbe essere condiviso anche da altri Stati e le stesse società non potrebbero che adattarsi o cancellarsi dal Paese per i mancati utili oppure affidarsi alle società nazionali per l’intermediazione con minori ricavi, riducendo le asimmetrie con l’economia reale e il commercio al dettaglio, parte lesa dalla rivoluzione digitale e vera piaga sociale nei grandi e piccoli centri urbani.

STESSE CONTRADDIZIONI
Le stesse contraddittorietà si osservano sul mercato del betting on line, le scommesse, laddove operatori europei con licenza regolare di Stati membri vengono esclusi dalle concessioni in Italia poiché portano gli utili in altri Paesi. Paradossalmente la normativa europea nel caso del Fiscal Compact viene considerata fonte primaria di diritto, fondata su Trattati, ma non la si considera tale in materia tributaria e fiscale nazionale né dal Parlamento e né dal governo. Botte piena e moglie ubriaca?

IL PROBLEMA EUROPEO
Allora le contraddizioni normative rilevate dai professori Giuseppe Guarino e Paolo Savona hanno un senso strategico nella visione d’insieme che l’Italia deve porsi prima o poi. Il problema è l’impostazione europea che non permette uniformità giuridica e fiscale, oltre che di politica economica ed estera, ai singoli Stati come l’Italia, oppure sono i nostri politici e le relative agenzie fiscali che non capiscono la differenza tra fonte primaria e secondaria, sovranazionale e subordinata, nel diritto ibrido e caotico dell’Unione tra trattati, regolamenti, normative, sentenze sparse tra diritto empirico e commerciale internazionale, diritto positivo europeo e giurisprudenze nazionali?

L’ORIZZONTE DI LETTA
Ecco che una strategia sarebbe necessaria, soprattutto se il governo Letta si vuole presentare al semestre europeo con un programma di riforme che dipani gli orizzonti delle contraddizioni nella convivenza europea, una serie di attività di rafforzamento dei principi unitari che si possano rivelare appetibili agli stati in termini economici e finanziari, a partire dal web magari. L’alternativa sarebbe fondare la propria missione sulla sigla del Trattato di libero scambio transatlantico, includendo la visione sul Web tra i punti di forza della ratifica, un segnale di grande capacità costruttiva tra popoli e mercati, all’interno di spazi e tracciati condivisi. Ne gioverebbe all’Europa e all’ultima idea plausibile per poterla condividere e potersi sacrificare, ma se non si hanno le idee chiare in tal senso meglio lasciar perdere, ci sara’ sempre un Tar, un Tribunale o una Corte che frenerà la fame da pentola bucata nei conti e la frenesia caotica della disparità di visioni giuridiche nei rapporti con l’economia del web, creando l’ennesimo interesse per non venire né a investire e né a compare una maglietta con su scritto, I love Italia, bye, buy, buio…


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