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Chi esulta per il Pacchetto Bali del Wto

Tra spirali protezionistiche in ascesa, tensioni valutarie mondialI e fughe di capitali a seguito delle decisioni al ribasso sui tassi d’interesse delle banche centrali, a voler imprimere il suo segno sulle regole economiche internazionali è stato il Wto (World Trade Organisation), l’Organizzazione mondiale del Commercio riunitasi la scorsa settimana a Bali, in Indonesia, con un accordo acclamato a gran voce per la sua “portata storica”. Ma è davvero così? Vediamo.

I NUMERI

Oltre 1000 miliardi di dollari, sarebbe questo il potenziale di crescita del Pil mondiale derivante dai capitoli negoziali effettivamente chiusi a Bali. I punti fondamentali raggiunti? Il primo dedicato ai Paesi meno avanzati, detto dello sviluppo, con cui si garantiscono loro norme favorevoli per aiutarne l’integrazione nei mercati internazionali. Si è deciso poi di inserire un capitolo agricolo, richiesto dall’India e da altri Paesi in via di sviluppo. New Delhi si batteva infatti perché fosse legalizzata la pratica di stoccaggio illimitato di beni alimentari sussidiata dallo Stato. Questa richiesta, priva di barriere temporali, era inaccettabile per via delle distorsioni al mercato che essa avrebbe comportato soprattutto per i Paesi limitrofi, ovvero per i possibili effetti negativi sugli agricoltori e quindi sul prezzo delle derrate alimentari per altri Paesi in via di sviluppo. Il compromesso raggiunto comporta un periodo transitorio di quattro anni durante i quali i programmi di sicurezza alimentare diventano legali sotto precise condizioni di trasparenza. L’ultimo grande capitolo riguarda invece le facilitazioni al commercio, argomento che stava particolarmente a cuore all’Unione Europea e agli Usa.

LE TENSIONI COMMERCIALI 

L’aiuto dei Paesi avanzati agli Emergenti si tasterà nel corso del tempo. Il periodo transitorio di quattro anni relativo al compromesso sulla sicurezza alimentare pospone le tensioni del momento, e l’adozione delle misure sulla facilitazione dei commerci è vincolante per tutti i Paesi anche se in tempi diversi a seconda del grado di sviluppo. L’accordo complessivo di facciata c’è, e l’ambasciatore brasiliano Roberto Azevedo, nuovo numero uno del Wto, può dirsene soddisfatto dopo 19 anni di stallo, ma la strada è solo all’inizio. Basta ricordare che a innalzare le bandiere del liberismo si confermano Usa e Ue, quegli stessi protagonisti dell’accordo di libero scambio che si tenta nei fatti di opporre in tutti i modi. Un esempio? La Germania merkeliana che minaccia di farlo saltare come ritorsione dopo lo scandalo del Datagate.

IL RUOLO DEL WTO

Non solo. Washington mantiene dal 1975 il suo divieto di esportare greggio oltre certe quote, Mosca gioca al rialzo sui dazi auto, e Pechino infastidisce Bruxelles a colpi di pannelli fotovoltaici e tubi in acciaio. Ma la stretta di mano ufficiale serve, anche per frenare il declino di un’organizzazione che non riusciva a siglare un accordo globale dal 1995. E per rincuorare sul fatto che si sia nella fase finale di una grande crisi, come quelle che portarono alla creazione del Gatt nel 1947 e dello stesso Wto nel 1995.

GLI EMERGENTI E LE MULTINAZIONALI

Se la bilancia del potere si sposta sempre più verso gli Emergenti, con la Cina in primis, gli Usa, come evidenzia l’Office of the United States Trade Representative, possono ancora portare a casa un pacchetto che in sostanza riduce del 10% i costi dell’export americano. I concetti di sostenibilità e di aiuto agli Emergenti hanno ufficialmente regnato anche a Bali. A brindare, ancora una volta, restano però le multinazionali.


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