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Apologia del populismo di Berlusconi e Renzi applicato alle regole del gioco

Senza false ipocrisie, diciamolo pure: una delle principali qualità di un leader politico è quella di saper cogliere gli umori della pancia della gente e saperli poi tradurre in risposte e messaggi semplici, chiari e facilmente recepibili. Ai filosofi dei contenuti a prescindere ed ai molti intellettuali potrà piacere o meno, ma tant’è: l’esperienza e la storia ci insegnano che questo talento – perché di dote naturale si tratta – è indispensabile (e non solo in politica) per assurgere al ruolo di capo ed assumere posizioni di primo piano e di responsabilità nel guidare una nazione. Poi ovviamente servono competenza, iniziativa, determinazione, una certa capacità negoziale e molto coraggio, oltre naturalmente alle indispensabili risorse economiche ed organizzative. Tuttavia, senza quella sensibilità iniziale ogni altra caratteristica perde di significato, risulta sterile nel momento decisivo, ovvero quando si tratta di raccogliere consenso per trasformarlo in numero di voti.

Restando nel campo della politica, è diffusa la vocazione ad identificare quella capacità percettiva con un’altra parola, quel termine populismo con il quale spesso coloro che sono privi di tale dote e – diciamolo pure – molti media tendono a diffondere un senso sostanzialmente privo di significato. Di fatto, finiscono poi con l’essere più demagogici di coloro che accusano essere populisti, con il risultato non certo entusiasmante di apparire dei pedagoghi elitari o oligarchici depositari della verità e dottrina del bene comune: in sintesi non riempiono le urne.

Meschini, i pochi di questi che raggiungono l’ambito scranno vivono di molte frustrazioni e qualche effimero accordicchio, magari ottengono qualche poltroncina, mantenendo però come mission principale del loro mandato la propria sopravvivenza politica invece di concentrarsi, come dovrebbero, sulle terrene vicende del Paese reale, perdendo di vista i bisogni della gente, di conseguenza finiscono con il non conoscere da vicino la Nazione e le sue istanze. Come possano quindi pensare di risolvere i problemi risulta davvero difficile da capire, ma questo è un altro discorso…

Non c’è peggior guaio per chi di mestiere fa il politico che perdere la percezione e il contatto con la realtà della vita quotidiana dei cittadini. Basti ricordare cosa è successo quando Silvio Berlusconi, a seguito delle sue dimissioni da premier, di fatto si ritirò dallo svolgere un ruolo politicamente attivo nel suo partito passando il testimone. Nel momento in cui le sue attenzioni e priorità si erano ricondotte ad una sfera diciamo più personale, dal calcio alle opere di beneficenza, iniziò un rapido e vertiginoso declino dei consensi al partito cui veniva a mancare il populista Cavaliere. Dall’altra parte, abbiamo assistito alla mancata vittoria elettorale del Pd allorquando il populista Matteo Renzi fu sconfitto alle precedenti primarie non da un serioso Bersani, bensì dall’apparato burocratico di un partito privo di quella capacità percettiva del sentimento popolare che ne ha decretato il fallimento negli ultimi decenni.

Quando poi questi due giganti populisti – lo è anche Grillo, ma la sua dote si svilisce in un atteggiamento sempre distruttivo a prescindere da qualsiasi tema in discussione che sarà la causa del suo declino – si sono rimessi in moto, sono ridiscesi in campo,  si riprendono la scena ed ovviamente i consensi. Ecco perché il futuro è loro, con buona pace di chi all’esecutivo ci è seppur privo di tale attitudine, predicando stabilità completamente avulso dalla realtà e lanciando anatemi sul populismo, in una patetica parodia di governo fatta di annunci seguiti da smentite, azioni promesse e poi non mantenute.

E mentre un premier allo sbando in queste ore discute ancora di patti di coalizione con una maggioranza che non ha riscontro nel Paese reale, i due meravigliosi populisti si incontreranno, entrambi fuori dal palazzo, per trovare un’intesa sulle regole del gioco, quella legge elettorale che li porterà a confrontarsi, auspico al più presto, con un solo rammarico che presumo provi Renzi: quello che il Cavaliere si spenderà non per un suo ruolo istituzionale che gli è (ad oggi) precluso per le meschine note vicende. Ma a dispetto di quanti lo pensavano o volevano finito, magari latitante c’è anche una assoluta certezza: la vita politica del Paese ancora oggi non può prescindere dalla figura di Silvio Berlusconi: populista? Certo, come lo è Renzi … e carico di consenso e non logorato dall’invidia di chi non ce l’ha.


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