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Banco Popolare, Popolare di Milano & Co, tutte le guerre al credito non speculativo

C’era una volta (e forse c’è ancora) un bersaglio preferito dell’intellighenzia turbo liberista che spesso impera nei media più pensosi: la caccia alle fondazioni bancarie, ritenute un ricettacolo di politici trombati dediti a un avvizzito e asfittico lavoro di elargizione a pioggia di contributi a enti locali e amministrazioni pubbliche che magari li avevano eletti. Su questo tema di recente il giornalista di Panorama, Marco Cobianchi, ha scritto parole chiare sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

SFONDARE LE FONDAZIONI

Beninteso, gli accrocchi consociativi, come le carriere extra politiche di politici trombati, ci sono stati e di sicuro ci sono in alcune fondazioni (con porte girevoli tra politica e fondazioni, come insegna il caso di Sergio Chiamparino e della Compagnia San Paolo di Torino). Poi però negli anni il “dàgli” alle fondazioni si è un po’ affievolito, visto anche il ruolo sistemico e stabilizzante che gli enti creditizi hanno avuto in grandi gruppi bancari alle prese con recessione, riduzione di attività ed esplosione delle sofferenze. Per non parlare della funzione anti ciclica e di tenuta economica svolta dalle fondazioni bancarie tramite la Cassa depositi e prestiti presieduta da Franco Bassanini.

IL PALIO DI SIENA

Ciò detto, non si può non rimarcare come a volte – ed è il caso ad esempio della Fondazione Mps presieduta da Antonella Mansi, rimarcato anche da Formiche.net – gli enti creditizi traccheggiano a diluirsi nel capitale degli istituti di credito, cercando di avversare un destino ineluttabile e pure auspicabile per l’evoluzione delle banche: ridurre progressivamente la loro presa sulle banche a beneficio di nuovi soci, anche esteri.

LA GUERRA POPOLARE

Ma la canea anti fondazioni bancarie negli ultimi tempi sta per essere soppiantata da un’altra canea che bistratta le banche popolari e gli istituti di credito cooperativo. Un atteggiamento davvero schizofrenico. Ai primi bagliori della crisi finanziaria divampata negli Usa, in Italia ci si gingillava – giustamente – del fatto che in genere le banche italiane, specie quelle medie e piccole, non si baloccavano con strumentazioni finanziarie sofisticate per creare soldi dal nulla. Dunque elogi spesso finti alle banche legate al territorio, al credito che finanziava la produzione e non la speculazione, ecc.

CAMPIONI E GIORNALONI

Poi il vento è cambiato. Ohibò: troppi consiglieri di amministrazione negli istituti di credito cooperativo. Perbacco: sindacati e dipendenti hanno troppo peso nei vertici delle banche popolari. Scandalo: ci sono troppe e opache operazioni con parti correlate. E avanti di questo passo. La solfa arrivava sovente da quei “giornaloni” con azionisti che erano campioni, forse mondiali, di operazioni con parti correlate.

OCCHIUTI VIGILANTI

Nel frattempo, anche per opera della occhiuta Vigilanza della Banca d’Italia, le lenti si sono concentrate sulle banche popolari con un forcing fatto di rapporti interni, interventi pubblici, missioni e intromissioni (le garbate e di sicuro istituzionalmente corrette ingerenze di Palazzo Koch sulla Banca Popolare di Milano potrebbero valere uno dei ponderosi e formidabili paper dell’Istituto Centrale). Poi, insieme con le sonore sculacciate, arrivano anche gli auspici informali su operazioni sistemiche (aggregazioni, salvataggi mascherati e acquisizioni da parte di Popolari più grandi, ad esempio come quella di Vicenza; progetti delineati di recente da Gianni Zonin nell’ultimo numero del Corriere Economia).

LE CRITICHE PARLAMENTARI

Si arriva, dunque, al documento di consultazione della Banca d’Italia sulla governance degli istituti di italiani e un capitolo è dedicato alle banche popolari. Con disposizioni che, secondo quanto denunciato da diversi parlamentari e da presidenti di Commissioni parlamentari, non aspettano il recepimento di una direttiva europea e scavalcano peraltro il codice civile. All’iniziativa parlamentare risponde oggi un commento del Corriere della Sera con accuse di lobbismo e di para-lobbismo politico. Segno che la prossima canea giornalistico-finanziaria avrà come bersaglio le banche popolari? Vedremo.

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