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Caro Pierluigi Bersani ti scrivo

Caro Pierluigi Bersani,
oggi si celebra una festa che è incentrata sulla “manifestazione”, sul rendersi evidente di ciò che prima era nascosto o inavvertito. La tua umana debolezza di questi momenti ha reso manifesta in me una cosa della quale non ero abbastanza consapevole: quanto affetto e quanta riconoscenza dobbiamo nutrire per i nostri avversari.
Scusami se ti do del tu: come dice Prèvert, “do del tu a tutti quelli che s’amano, anche se una sola volta li ho veduti” e in queste ore si è visto con chiarezza quanti –militanti del tuo stesso partito, amici, persone comuni- provano affetto per te e sperano che tu ti rimetta presto e torni in campo.
Lo faccio anch’io, da te molto più distante, e non per un semplice spirito di umana solidarietà: in una sala operatoria e in un letto d’ospedale non ci sono peggiori e migliori, savi e stolti, belli e brutti; solo simili e fratelli.
Ma non si tratta solo di questo pur doveroso sentimento: è che, come dicevo, sento di doverti qualcosa. Perché un avversario, se è leale e diritto, può essere prezioso come e più di un amico, tanto più quanto sia alto il suo valore e determinato il suo pensiero.
Perché è la robustezza del bastione che ci si oppone a temprare le nostre capacità di combattimento e conquista; è la gagliardia di chi ci fronteggia che ci obbliga ad affinare le nostre strategie, a comprendere e correggere le nostre manchevolezze, ad essere migliori.
Non solo, quindi, voglio che tu guarisca e che i tuoi affetti e la tua famiglia possano averti il più a lungo possibile; voglio tornare a pensare che hai torto, ma che quel torto non sarà facile da scardinare; che sei in errore, ma dovrò attrezzarmi bene per confutare tale errore.
Se non si comprende questo, che non dobbiamo rispettare le persone malgrado siano nostri avversari, ma proprio perché lo sono, la porta dell’Inferno è spalancata; ed è quella in cui mi pare siano precipitati i tanti poveri untorelli che ti augurano morte e sofferenza.
È stato chiamato in causa, al proposito, il Movimento Cinque Stelle. Personalmente ritengo che una tale miseria sia innanzitutto individuale; nessun ombrello o cappello collettivo può coprire l’atto ripugnante che tutte queste persone e ciascuna di esse hanno compiuto; né vale come esimente o attenuante l’insostenibile leggerezza dei social network e dell’online.
Non c’è dubbio, tuttavia, che Grillo ed altri esagitati portino la grave responsabilità di avere ridotto tutto a corrida, a sceneggiata, a coro da stadio (non si intona forse il “devi morire” quando c’è un avversario a terra).
Questi cattivi maestri vanno emarginati. Su me non esercitano alcun fascino, perché è vivida nella mia memoria l’immagine di Giorgio Almirante che va a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer nella camera ardente di Via Botteghe Oscure e di Giancarlo Pajetta che fa lo stesso a Palazzo del Drago per il leader missino.
Gente che si era combattuta con asprezza, che aveva rischiato di spararsi addosso, ma non coltivava l’odio come valore. Sappiamo, caro Pierluigi, che si sta parlando di giganti. Ma non è mai troppo tardi, anche per noi nani per salire sulle loro spalle e guardare lontano.
Buona Epifania ed auguri di lunga vita.

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