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Che fine ha fatto il decreto sul finanziamento dei partiti?

Gli occhi sono tutti per l’Italicum e la tenuta della maggioranza di governo, ma un altro provvedimento molto sentito dall’opinione pubblica entra nel vivo in questi giorni: la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama sta infatti esaminando in queste settimane i circa 180 emendamenti al provvedimento presentato dal governo sul finanziamento dei partiti.

A tanto ammontano le proposte di modifica del disegno di conversione in legge del dl 28 dicembre 2013, riguardante l’abrogazione dei contributi pubblici diretti alle formazioni politiche, la loro trasparenza e democraticità, e le regole sui versamenti volontari fiscalmente agevolati. Un provvedimento che ricalca alla lettera il disegno di legge promosso dal governo Letta, approvato in prima lettura dalla Camera nel 2013, e che viene esaminato congiuntamente con altri 9 progetti di iniziativa parlamentare.

Relatrice è la renziana Isabella De Monte, dopo che il suo predecessore, Alessandro Maran di Scelta civica, si è dimesso in polemica proprio con il segretario del Pd per le sue parole sui piccoli partiti. Tra le proposte emendative spicca la versione tedesca firmata Sposetti-Gotor, del Pd, che al contrario di tutte le altre ipotesi di modifica del testo base – che prevede l’abrogazione entro il 2017 degli stanziamenti a carico del bilancio – punta a riscrivere dalle fondamenta le regole sui contributi economici ai partiti, rilanciando la filosofia delle elargizioni statali vincolate al rispetto di rigorosi parametri di trasparenza e democrazia (puntando a un modello, appunto, simile a quello tedesco).

Una proposta minoritaria, sia nel partito sia nell’opinione pubblica: difatti tutti gli altri parlamentari del Partito democratico puntano solo a correzioni puntuali e limitate del decreto legge governativo, come un tetto ai contributi volontari e maggiori detrazioni per i contributi spontanei. La stessa relatrice De Monte, con esponenti vicini a Renzi come Andrea Marcucci e Rosa Maria Di Giorgi, prospetta uno sgravio del 20% per gli importi fra 30 e 20mila euro, e del 15 per quelli compresi tra 20mila e 70mila euro annui.

Radicale, e non poteva essere altrimenti, il Movimento 5 stelle: la lotta ai rimborsi elettorali è infatti il primo punto del loro programma, e gli emendamenti presentati al Senato lo dimostrano: i parlamentari chiedono l’abrogazione immediata del finanziamento pubblico dei partiti e la restituzione di tutti i rimborsi elettorali ricevuti dalle forze politiche a partire dal 1999. Risorse che – come fanno adesso volontariamente i parlamentari 5 stelle con parte dei loro stipendi – andranno destinate interamente al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.

Se parte del Pd guarda a Berlino, Forza Italia ha gli occhi fissi su Washington: gli emendamenti degli azzurri, infatti, prevedono un meccanismo fondato su una grande libertà nelle erogazioni compiute dai cittadini e sul massimo rigore nel garantire la trasparenza dei contributi privati. Tra le proposte spicca quella di elevare a 500mila euro, dai 300mila euro previsti dal progetto di Palazzo Chigi, il limite consentito per i contributi privati alle forze politiche.

Proposte anche dai partiti minori: Sel chiede un rimborso pubblico effettivamente corrispondente alle spese sostenute dai partiti per le consultazioni; la Lega vuole rimuovere ogni forma di trattenuta sindacale in busta paga; Scelta civica vuole l’introduzione di un divieto rigoroso “ad aziende, società, istituzioni pubbliche, di finanziare fondazioni e associazioni che abbiano come scopo l’elaborazione politica e siano presiedute o dirette da rappresentanti di governo o di assemblee elettive”. Appuntamento, domani, in I commissione al Senato. GAV-EDP



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