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Cosa ha detto la Corte Costituzionale sul porcellum

Una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica“.
(Piero Calamandrei, Discorso sulla Costituzione, 1955).

Proviamo a passare in rassegna le parti più rilevanti della recente decisione della Corte Costituzionale n.1/2014 che ha dichiarato l’incostituzionalità di alcune disposizioni del famigerato porcellum, per stare all’espressione coniata dal politologo Giovanni Sartori.

Vale la pena di premettere che la sentenza ha suscitato molte riserve fra gli studiosi del diritto, in quanto per molti la Corte si sarebbe spinta ben oltre le proprie prerogative. Gli aspetti che più fanno discutere riguardano la ritenuta ammissibilità della questione da parte della Corte (tema molto specialistico che non può essere affrontato in questa sede; basti rilevare che per molti la Corte Costituzionale avrebbe dovuto respingere il ricorso perché, in pratica, le domande proposte da Aldo Buozzi alla magistratura ordinaria sarebbero state coincidenti con la stessa questione di costituzionalità, il che non è ammesso) e l’intervento sostanzialmente legislativo rispetto alla normativa che rimarrebbe in essere.
Proviamo quindi a sintetizzare le singole questioni  affrontate, richiamando fra virgolette le precise parole della Corte.

1) LA COSTITUZIONE NON IMPONE UN PRECISO MODELLO DI LEGGE ELETTORALE, MA CIO’ NON SIGNIFICA CHE LA LEGGE ELETTORALE SIA ESENTE DA CENSURE

La Corte giustamente ci ricorda che la Carta costituzionale lascia alla discrezionalità del legislatore “la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico”.
Per la Corte, però, il sistema elettorale scelto la legislatore “non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti (ad esempio – n.d.r.) manifestamente irragionevole”.

2) IL PREMIO DI MAGGIORANZA SENZA SOGLIA MINIMA, INSERITO IN UN SISTEMA PROPORZIONALE, E’ IRRAGIONEVOLE 

La Corte parte dal presupposto che in un ordinamento che si fonda sulla Sovranità Popolare come il nostro, un premio di maggioranza che venga assegnato in misura rilevante a chi ottiene la semplice maggioranza relativa (e che quindi rappresenta una minoranza rispetto all’insieme di tutte le altre forze) distorce la stessa Sovranità del Popolo, potendo di fatto assegnare il governo ad una minoranza.
Ciò perché, come sappiamo, il principio di Sovranità Popolare si attua tendendo ad assegnare rappresentatività a tutti (o al maggior numero possibile), ma il governo solo alla maggioranza.
Come vedremo, in altre parti della sentenza sembra ammettersi che un premio di maggioranza in un sistema proporzionale puro non possa funzionare se non a scapito della Sovranità.
A detta di chi scrive, meglio sarebbe, allora, un sistema concepito per essere maggioritario fin dall’inizio, come il doppio turno alla francese o il sistema del sindaco d’Italia, per usare l’espressione a cui ci ha abituato il sindaco Matteo Renzi.

3) IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA DEL VOTO E’ STATO VIOLATO

Questo principio, sancito dall’art. 48 Cost., stabilisce che ogni elettore dispone di un voto dello stesso peso. A differenza, ad esempio, di ciò che avveniva nell’Unione Sovietica fino al 1936, ove al voto degli operai era attribuito un valore maggiore di quello dei contadini e possidenti terrieri.
In sostanza, nessun elettore può disporre di più voti o di un voto di valore maggiore.

Per la Corte, con il premio di maggioranza vi è il rischio che il meccanismo premiale sia “foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto”. Tale sistema “è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto”.
Ciò perché i voti della minoranza sarebbero capaci, grazie al contributo di voti fittizi dati dal premio, di pesare di più. In altre parole ancora, ogni voto della minoranza relativa verrebbe accresciuto di una piccola frazione di voto fittizio dato dal premio.

4) IL LEGISLATORE DEVE CERCARE PROPORZIONE ED EQUILIBRIO FRA L’OBIETTIVO DELLA STABILITA’ DI GOVERNO ED IL PRINCIPIO DELLA RAPPRESENTANZA POPOLARE

Il test di proporzionalità utilizzato dalla Corte Costituzionale (così come lo stesso test di ragionevolezza, che si fanno solitamente entrambi discendere dall’art. 3 Cost. in materia di uguaglianza) richiede di “valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi”.

Se, quindi, “la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale” costituisce “senz’altro un obiettivo costituzionalmente legittimo”, ciò va perseguito attraverso norme che pongano “il minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori” costituzionali in gioco, su tutti quelli di una equa ed eguale rappresentanza del Popolo sovrano.

Per la Corte la legislazione censurata “non è proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera architettura dell’ordinamento costituzionale vigente”. Nel porcellum l’obiettivo della stabilità del governo, perseguito attraverso un ingente premio di maggioranza senza soglie minime di rappresentatività, rovescia “la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione

5) IL PREMIO DI MAGGIORANZA AL SENATO APPARE ANCOR PIU’ IRRAGIONEVOLE

Chi scrive ha sempre ritenuto che la vera assurdità del porcellum fosse la possibilità di dar vita a maggioranze diverse fra Camera e Senato (il che, in un sistema di bicameralismo perfetto ove il governo deve ottenere la fiducia da entrambe le camere, è davvero inconcepibile), anche se, a dire il vero, un rischio di disomogeneità esiste già in Costituzione laddove viene stabilito che il Senato venga eletto su base regionale e non nazionale.
Ad ogni modo, il meccanismo del premio quantomeno aumenta notevolmente (irragionevolmente per usare le categorie a cui si rifà la Corte) tale rischio di disomogeneità, poiche’, operando il premio a livello regionale (e non su base nazionale come alla Camera), sussiste ancor piu’ la possibilità che vengano avvantaggiati partiti politici molto forti in alcune regioni popolose, ancorché gli stessi non abbiano uguale rappresentanza sull’intero territorio nazionale.

La Corte ha buon gioco, quindi, a dire che il test di proporzionalità evidenzia, per la normativa valevole per il Senato, “l’inidoneità della stessa al raggiungimento dell’obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla disciplina prevista per l’elezione della Camera dei deputati. Essa, infatti, stabilendo che l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo”. 

6) IL VOTO DEVE ESSERE DIRETTO A SCEGLIERE UN PRECISO CANDIDATO (c.d. preferenza) E NON AD AVALLARE LE SCELTE DEL PARTITO NELLA COMPOSIZIONE DELLA LISTA (c.d. lista bloccata)  

Il principio del voto diretto è stabilito dagli artt. 56 e 58 Cost. Per voto diretto potete intuire cosa si intenda. All’elettore deve essere data la possibilità di indirizzare la propria scelta direttamente verso un preciso candidato, il che non appare possibile con un sistema di liste bloccate.

Con il termine lista bloccata si fa riferimento ad una lista elettorale nella quale i singoli candidati vengono eletti sulla base dei voti raccolti in relazione all’ordine per essi stabilito dal partito, senza alcuna possibilità per l’elettore di incidere direttamente sulla scelta di un candidato piuttosto di un altro.

Sarà quindi l’ordine di lista a determinare le maggiori o minori possibilità per ciascun candidato di essere eletto o meno, sulla base dei voti ottenuti dalla lista stessa (e non dal singolo, quindi).
Ciò fa si che il voto non possa dirsi diretto, ma indiretto, essendo riferito alla decisone presa dai partiti al momento della compilazione della lista (votando la lista, in altre parole, l’elettore è chiamato a dire: sì, accetto le preferenze da voi date perché altro non posso fare).

Le disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall’elettore, destinato a determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza, dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta dell’elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la lista, che – in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie, come si è rilevato – contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere all’intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili dall’elettore stesso. Una simile disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti”.

In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto”.

Con tali parole la Corte sembra considerare legittimi sistemi in cui ad un ordine di lista bloccato si accompagni la possibilità di scelta dell’elettore, ossia sistemi in cui all’elettore sia data comunque la possibilità di esprimere una preferenza, stabilendo, magari, che in assenza di questa (e quindi lasciando libero l’elettore di non compiere alcuna scelta), valga l’ordine di lista predeterminato. Non ci sentiamo, invece, di poter dire, come stanno facendo molti, che le liste bloccate potrebbero considerarsi ammissibili se “corte”, poiché la decisione in commento, quando parla di “numero esiguo di candidati”, sembra riferirsi al complessivo numero di candidati da eleggere nella circoscrizione, e non al numero esiguo di candidati nella singola lista.
D’altra parte, anche una lista bloccata “corta”, con pochi nomi, in una circoscrizione piccola che elegga pochi candidati sul modello di quella spagnola, precluderebbe comunque la possibilità per l’elettore di incidere direttamente sull’elezione di un candidato piuttosto che di un altro e, quindi, si porrebbe comunque in violazione del principio del voto diretto, nonché del principio di libertà di voto di cui parliamo al punto successivo.

7) LE LISTE BLOCCATE LEDONO ANCHE IL PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ DI VOTO

Tale principio è stabilito anch’esso dall’art. 48 Cost. La libertà del voto non costituisce solo una protezione contro ogni indebita interferenza (minacce, violenze), ma si estrinseca anche nella possibilità di poter scegliere fra più candidati, senza predeterminate imposizioni, anche solo indirette, quali risultano quelle che l’elettore subisce con le liste compilate dai partiti.

Le condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.”.

8) I PARTITI SONO SOLO UNO STRUMENTO AL SERVIZIO DEL CANDIDATO E DELL’ELETTORE

In un altro scritto a commento della questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di Cassazione, avevo sostenuto quello che avevo ritenuto individualismo metodologico contro la partitocrazia, volendo così omaggiare quel gigante del liberalismo che è stato Ludwig Von Mises.

Questo è in sostanza l’approccio seguito anche dalla Corte Costituzionale, per la quale il termine di riferimento della Sovranità Popolare è l’individuo singolo (sia esso candidato od elettore) e non il partito, che costituisce solo uno strumento al servizio degli stessi.

Sul punto la Corte ribadisce quanto già in passato dichiarato: “le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la “presentazione di alternative elettorali” e la “selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche” – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost. Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai candidati”.

9) COSA RIMANE IN ESSERE

Quella che rimane in essere è una legge proporzionale pura.
Ciò che resta, invero, è precisamente il meccanismo in ragione proporzionale delineato dall’art. 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 e dall’art. 1 del d.lgs. n. 533 del 1993, depurato dell’attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate riguardanti l’espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di preferenza”.

10) LE CAMERE SONO LEGITTIME E COSI’ GLI ATTI DALLE STESSE COMPIUTI

Per la Corte, giustamente, le camere solo legittime e così gli atti che le stesse hanno compiuto e quelli che porranno in essere.

Invero, la decisione “produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere”.

Tale decisione, pertanto, “non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto”.
E ciò perché l’annullamento di una norma tacciata di incostituzionalità vale soltanto per i rapporti pendenti e non per quelli già esauriti, come sono le elezioni tenutesi nel febbraio 2013, “posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti”.

La Corte arriva a tale giusta valutazione sulla base del “principio della continuità dello Stato”, che si realizza in concreto attraverso la continuità dei suoi organi costituzionali, a cominciare dal  Parlamento.
Nessuna incidenza, quindi, sugli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali, a cominciare, si auspica, dalle riforme istituzionali e dalla veloce abolizione del bicameralismo perfetto.
Adesso davvero non c’è più alcun alibi per non intervenire in tal senso.

 

 

 

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