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Così i giornali italiani incensano e criticano il renziano Jobs Act

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il cameo di Riccardo Ruggeri apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Come al solito, nel fine settimana ho riordinato i ritagli dei giornali: la notizia clou è stata l’ormai mitico Jobs Act. L’idea di chiamarlo così, cioè “incartare” in modo ridicolo un oggetto serio come il “lavoro”, per alcuni è stata una mossa di alto marketing politico, per altri una semplice volgarità linguistica. La mia idea è che si tratti di un documento improvvisato, nulla più.

Su Twitter, Formiche.net ha fatto, al solito, un buon lavoro di informazione, soprattutto ha dato spazio ad alcuni personaggi (rari) che quando scrivono di “lavoro” sanno di cosa parlano. Invece nei tweet, noi giocherelloni della rete ci siamo scatenati con battute da avanspettacolo, trattandolo come una specie di Sex Act per anziani. Compassato, come ovvio, il comportamento della grande stampa. Vediamolo.

Repubblica persegue la sua strategia editoriale con fredda determinazione cuneese. È quella gradita al segmento ora in auge nella Classe Dominante, che si prefigge le dimissioni di Napolitano e la sua sostituzione con Zagreblesky o affini (tranquilli, non lo confesserebbero neppure sotto tortura). Se per raggiungere questo obiettivo è utile Renzi e il suo Act, viva Renzi: lui infatti non destabilizza Letta, ma Napolitano. Il Sole e il Messaggero paiono sulla stessa lunghezza d’onda, seppur con nuance molto diverse, sia rispetto a Repubblica che fra di loro.

La Stampa e il suo Direttore (una persona perbene) sono in una posizione particolare. Lui sa che il futuro è la fusione col Corriere, nel breve però dev’essere un tutt’uno col suo azionista, che pare coltivi velleità nell’editoria, e nel contempo coprire la ritirata del Gruppo sul versante italiano. In quest’ottica, il Jobs Act di Renzi può avere una valenza strategica.

Il Giornale è in una posizione particolare, immagino sappia che per il Centro-Destra le dimissioni di Napolitano sarebbero mortali, così come andare alle elezioni con un sistema elettorale a doppio turno (i voti moderati di “confine” andrebbero o “al mare”, o con Grillo, o con Renzi). Certo, c’è Berlusconi che fa ancora sogni strani, però fra qualche mese, quando le polveri sottili della pena copriranno, giorno dopo giorno, la sua immagine pubblica, capirà che il tempo è arrivato e farà (dovrebbe fare) l’unica cosa che gli rimane: una “fondazione” ove mettere a disposizione i suoi voti per un candidato moderato credibile, destinato comunque a essere opposizione. Libero in questo senso è più “sciolto”, anche se la tipologia di lettori è simile, seppur con una nuance liberale più accentuata.

La strategia del Fatto Quotidiano è la più trasparente: fare giornalismo d’attacco, consolidando le proprie quote di mercato. La modalità è obbligata: a) continuare a colpire Berlusconi, i berlusconiani, il berlusconismo, dando così biada ai “lettori storici”; b) nel contempo, tenersi in quella terra di mezzo, che pare in crescita, fra grillismo e renzismo. Il Fatto è il solo ad aver capito che le due tifoserie hanno in comune la superficialità di pensiero e una costante eccitazione fisico-mentale.

Sofferta invece la strategia del Foglio, per i troppi obiettivi che si è dato, e che, banalizzando, potremmo sintetizzare con tre nomi: Berlusconi, Renzi, Marchionne. Il suo Direttore però, è sia un politico finissimo che un giornalista di razza, per cui troverà la “quadra”.

Italia Oggi si è auto costruita una posizione super partes. I suoi pezzi brevi e icastici, l’indipendenza intellettuale di chi collabora, non solo garantita ma richiesta dal suo Direttore (un uomo che ha molto “vissuto”) concorrono a farne una voce affidabile per quella vasta area che un tempo chiamavamo “maggioranza silenziosa”.

Resta il Corriere, il caso più critico, perché in esso convivono molte culture divergenti. Il Direttore, non solo un grande giornalista ma un raffinato politico, sta cercando di gestire difficili equilibri fra rissosi azionisti-editori, prime donne-grandi firme, avviate al declino, comportamenti d’antan, sopra tutto una situazione economico-bilancista difficile, facendosi carico, nel contempo, della faticosa difesa della sua grande tradizione storica.

Questo in sintesi è il resoconto di un paio d’ore, trascorse in un bar vicino al vecchio Filadelfia, da tre ex colleghi pensionati che, anziché parlare del Toro o della Fiat come fanno di norma, per una volta cazzeggiano di giornali e di politica. Diceva mia nonna che i vecchi, come i cani, sentono in anticipo l’arrivo di un terremoto. È in arrivo, lo sento, ma lei non sapeva che i giornali, al contempo barometri, termometri, igrometri, hanno antenne più potenti degli umani.

editore@grantorinolibri.it    @editoreruggeri


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