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De Girolamo e il moralismo dell’Italia che cambia verso

Quel pasticciaccio brutto del borgo sannita non è frutto della fertile fantasia del grande Carlo Emilio Gadda, descrittore insuperabile delle torbidezze del generone romano di via Merulana al tempo in cui tutti i gatti erano neri. Qui gli intrighi, le miserabilità, le strumentalizzazioni politiche da basso impero orientale sono vere; forniscono una rappresentazione realistica del crollo d’ogni valore civile e umano, di una perdizione che attraversa l’anima collettiva di una società malata e di una politica degradata a viltà e ad arrivismo spietato.

Proviamo a riflettere ad imis. Donde deriva esattamente cotanto sconcerto che tiene banco in Italia da oltre una settimana e rischia di essere la concausa di una crisi di governo e di legislatura? Si fa presto a parlare di affarismo politico che non salverebbe nessuno, nemmeno il più insospettabile. Lo scandalo è dato dallo strabordante numero di ore di intercettazioni abusive (perché rubate) di conversazioni private di Nunzia De Girolamo svoltesi nella propria abitazione.

Si tratta di un  punto dolente della politica italiana sviluppatosi come un bubbone malefico ai tempi di Mani Pulite, con totale sconsiderazione della privacy dei cittadini e mirato alla ricerca  di eventuali ipotesi di reato le più improbabili. In termini più esatti, siamo alla intercettazione deliberata e non casuale, effettuata scientemente e da usare come arma di pressione morale e di ricatto reale per impedire ad una cittadina – indifferentemente dalla sua temporanea professione di rappresentante del popolo – la libertà di esprimere opinioni su eventi e persone della sua cerchia o della sua città. Che Stato “civile” è quello che consente simili abnormità, premiandole ovvero utilizzandole come strumento di speculazione politica, senza invece reprimerle ed eventualmente punirle perché abusive, illecite e devianti?

Il garantismo è scomparso dalla politica italiana sia come principio ispiratore della cultura della libertà d’espressione (un diritto costituzionale, si rammenti, non soltanto una regola morale), sia come giudizio di merito persino su parole che una persona usa a casa propria con chi le pare. I farisei della sinistra renziana (Nardella, tanto per fare un nome) e della destra montiana (Giannini, Della Vedova) evocano un principio di opportunità mancata. Essendosi espressa in maniera poco adatta a una signora, secondo tali valorosi parlamentari una persona pubblica dovrebbe avvertire l’enormità del suo eloquio volgarotto, e “fare un passo indietro”. Cioè dimettersi da ministro: per fare posto ad una ministra renziana o, peggio, ad una della destra montiana, le cui abitudini private nessuno si è sognato mai di andare ad accertare.

Il moralismo nato come giustizialismo è diventato la nuova cifra dell’Italia che cambia verso. Lo tengono alto come vessillo di progressismo nella procura milanese, nel cerchio magico del principato fiorentino, fra i radical-chic di un movimento che ha adottato il nome di Scelta civica e pratica il massimo di inciviltà giuridica ed effettuale. Lo stesso sistema fu adottato nei primi anni Novanta dalla cerchia martinazzoliana per distruggere la Dc  e allinearsi coraggiosamente con gli inquisitori meneghini che volevano rottamare e moralizzare l’Italia “come un calzino”.  Non se ne ha ancora abbastanza di simili idee immonde, disumane e certamente non intelligenti?



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