Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
L’anno che è appena iniziato è carico di promesse per gli italiani: un’annunciata ripresina da raccogliere e potenziare; l’abolizione del bicameralismo perfetto; una nuova legge elettorale; gli effetti dei vari provvedimenti sull’occupazione. Insomma, dopo tanti elementi negativi, una combinazione di positività.
Vedremo. Ma il fatto politico più rilevante, ai fini della proiezione comunitaria del Paese, è il semestre di presidenza italiana, che inizierà il 1° luglio. In realtà, le presidenze passano e nulla di speciale accade né per la nazione investita dalla responsabilità, né per l’Unione. Questa volta, però, ci sono questioni che non possono essere accantonate, né per l’Italia né per l’Europa.
L’AUTOLESIONISMO DI MONTI
La prima e più grave di tutte è l’avvio, il 1° gennaio 2015, del Fiscal compact con l’obbligo per l’Italia di ridurre il proprio debito al 60% del Pil in vent’anni. Ciò significa che dalla finanziaria 2015 che sarà discussa nel prossimo autunno, noi dovremo avere un avanzo di 50 miliardi annui da destinare al taglio del debito. Una follia sottoscritta per l’Italia da Mario Monti in un impeto autolesionistico. Non c’è altra spiegazione per la firma di un impegno insostenibile che, comunque, completerebbe l’affondamento dell’economia nazionale. Anche perché, il nostro Paese, come gli altri, ha poteri di veto sulle decisioni dell’Unione e dovrebbe esercitarlo ogni volta che sono in ballo i nostri interessi vitali. In questo fiscal compact c’è tutto lo sviamento dell’originario progetto europeista. Facciamo un breve passo indietro.
L’EQUILIBRIO PERDUTO
La pace di Westfalia (1648) stabilì un principio di equilibrio tra gli Stati europei. Quando non è stato rispettato, è stata guerra sanguinosa. Oggi, l’Europa immaginata da Schuman, Adenauer, Spaak e De Gasperi ha rinnegato i propri fondamenti: parità ed equilibrio tra potenze per la lenta ma costante integrazione sino al momento in cui un ordinamento federale sarà maturo. Li ha rinnegati dal momento in cui la Francia ha cessato di essere il solido contrappeso alla volontà di potenza tedesca. E da quando l‘Italia ha smesso di fare politica estera e di essere uno dei protagonisti europei. Certo, ci sono stati altri fattori, a cominciare da un’imbarazzante presidenza Prodi che ha condotto l’Unione a un errato allargamento, capace di renderla ingovernabile. C’è stata l’unificazione tedesca (per la quale fu chiesto il permesso anche all’Italia; sembrano passati secoli da quando avevamo questo peso) e il suo successo che hanno conferito alla cancelleria di Berlino una indiscussa primazia.
L’EGEMONIA TEDESCA
Ma, in definitiva, è accaduto ciò che già gli europei del 1648 ritenevano deleterio: il passaggio da un sistema di equilibri a un sistema egemonico. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Le macerie che la strapotenza tedesca, non più militare, ma economica, sta provocando in tutto il continente rappresentano la prova di una politica sbagliata e dannosa. La Grecia costretta a un’economia di mera sussistenza con migliaia di persone assiepate, per Natale, nelle mense dei poveri. Il Portogallo, la Spagna e l’Italia alle prese con una disoccupazione biblica, fabbriche che continuano a chiudere, banche allo stremo e, anche qui, milioni di persone entrate nel cono tragico della povertà.
IL COLLASSO DELLA DEMOCRAZIA
Di fronte a questa situazione, da noi, la retorica nazionale, interpretata senza l’ombra di un dubbio da Giorgio Napolitano, insiste sulla necessità di seguire pedissequamente gli ordini di un’Europa egemonizzata dai tedeschi. Tanto egemonizzata che, ormai gli interessi dell’Unione equivalgono agli interessi della Germania. Continuando su questa strada non sarà in pericolo l’economia. Sarà in imminente pericolo di collasso la democrazia. E i vari Grillo, Le Pen e compagnia bella non dovranno fare sforzi particolari per raccogliere con lo sdegno della gente i voti per mandare all’aria l’euro e l’Europa.
COME SALVARE L’ITALIA
Se c’è un valore da difendere, è quello comunitario. Riportato alle origini, cioè all’equilibrio tra le nazioni, al rifiuto di ogni egemonia. Per ottenere questo risultato, occorrono coraggio e determinazione. Non deflettere un momento e porre tutti i veti necessari per salvaguardare l’Italia. L’euro, in questa situazione, è addirittura secondario. E, poi, il proseguimento della politica di restrizioni non ci metterebbe molto a farlo saltare in aria.
Il giovanotto fiorentino dall’agitata e inconsistente verbosità, messo a capo del partito di maggioranza relativa, non ha ruolo, per ora e per fortuna. Il compito spetta a Enrico Letta: dovrà scegliere se essere il De Gasperi del decennio o l’ennesimo Quisling in giro per l’Europa. Non è chiaro se se ne sia reso conto.