Giovani sì, coglioni no. È questo il concetto (chiarissimo) alla base della campagna provocatoria #Coglione No lanciata da Zero, un collettivo di registi e film-maker con base a Roma e Londra, realizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica al «rispetto dei lavori creativi». Le tre videopillole lanciate su Youtube lo scorso 13 gennaio stanno letteralmente spopolando in rete (su Wired sono stati alcuni dei video più cliccati di sempre con quasi 30,000 like in meno di 24 ore) e rimbalzando all’impazzata sui social network.
Protagonisti un idraulico, un giardiniere e un antennista, profili professionali richiestissimi oggi – ed è proprio qui che si gioca tutta la contraddizione – che, a lavoro ultimato, invece di ricevere la meritata retribuzione si sentono dire: «Forse ci siamo capiti male. Te lo dico onestamente, per questo progetto non c’è budget» o «non posso pagarti, ma puoi mettere questa esperienza nel tuo curriculum» perché, del resto, nella vita «per poter realizzare i sogni bisogna fare “un po’” di sacrifici». Oppure «dai, puoi inserirlo nel tuo portfolio», senza contare che «ti sto dando una grande opportunità di visibilità».
Frasi che qualsiasi freelance, copywriter, giornalista, web designer, grafico, fotografo, pubblicitario o comunicatore si è sentito dire almeno una volta nella sua carriera, volendo essere molto ottimisti. Quando sei alle prime armi, infatti, pensi che in fondo iniziare a lavorare gratis rappresenti una tappa obbligata della tua crescita professionale. E che è necessario fare la famosa “gavetta” stringendo i denti e andando avanti perché tanto, prima o poi, si verrà lautamente ricompensati. O almeno è quello noi giovani ci siamo sentiti dire fin da piccoli dai nostri genitori, cresciuti a pane, ideali e quel sentimento cristiano del sacrificio a prescindere.
Ma poi, quando certe frasi iniziano a ripetersi alla terza-quarta-quinta-sesta esperienza, capisci che c’è qualcosa che non va. Che c’è qualcuno che lucra sulla tua disponibilità e propensione a mettere a frutto le tue capacità e gli anni passati sui libri, i master pagati con il sudore e la fatica, e le esperienze maturate (senza beccare mai uno stipendio che si possa definire tale).
E allora inizi a indignarti sul serio e desiderare di fuggire a gambe levate da questo Paese, rimettendo in discussione tutto: i famigerati sacrifici, gli affetti, e la voglia di entrare a far parte della famosa “classe dirigente di domani”, oppio delle ultime due generazioni, quelle venute su al suono di: «Stay hungry, stay foolish». E così finisci per pentirti del percorso di studi che hai scelto, dei tuoi troppi “sì” a lavori mal pagati perché non c’era scelta e, a monte, della decisione di seguire le tue inclinazioni e i tuoi sogni.
Ti rendi conto che è il sistema ad avere un’enorme falla al suo interno e che tu ci sei finito dentro con tutte le scarpe, più o meno inconsapevolmente, e che adesso è troppo tardi per tornare indietro. Ma se ti guardi intorno, ti accorgi che non sei solo tu, “creativo” o pseudo-tale, ad avere certi problemi. Lo testimoniano gli stessi ideatori della campagna “#coglioneNo”: «Dopo i video abbiamo ricevuto moltissimi messaggi, anche da insospettabili, come giovani architetti, avvocati e geometri. Siamo cresciuti con la certezza che una formazione accademica tradizionale ci potesse garantire un futuro, ma purtroppo non è così. Sembra proprio che in Italia chi offre un lavoro, se può, non paga».
Insomma, il se male è sempre più comune di gaudio ce n’è sempre meno.
Forse è vero che dovremmo cominciare a rivalutare i cosiddetti “mestieri di una volta”, ma è anche vero che per poterlo fare davvero è necessaria una riforma del sistema di istruzione e dell’università che sia calibrata con l’andamento del mercato del lavoro, affinché non si venga a creare quel divario enorme che c’è oggi tra domanda e offerta.
Non si può accettare che quelle stesse generazioni che ci hanno in molti casi spinti a prendere il famoso “pezzo di carta” adesso non vogliano schiodare il sedere dalle loro poltrone, continuando a raccontarci la favola della crisi e del poco budget a disposizione, e facendoci pure la predica sul fatto che abbiamo passato troppo tempo a studiare e che dobbiamo ritornare a fare i ciabattini e gli idraulici. Insomma, oltre al danno, la beffa.
Perché è proprio allora che viene voglia di urlare “giovani sì, coglioni no”.
di Alma Pantaleo