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Il flop di Gianni Vattimo

Il comunista catto-anarco-ermeneutico-castrochavista e antisionista Gianni Vattimo, come si è definito sul Corriere della Sera, questa volta è rimasto a terra. Era infatti già pronto ad abbandonare la scialuppa di Antonio Di Pietro e a salire sulla nave dei Cinquestelle. Perché al filosofo del “pensiero debole” piace ancora solcare il mare in crociera. Inoltre,  con un nocchiere come Beppe Grillo l’approdo al porto fluviale di Strasburgo sarebbe stato sicuro. Ma, dopo un attimo di esitazione, il comico genovese gli ha rifiutato la carta d’imbarco.

Il cardinale di Retz, molto stimato da Richelieu, diceva che bisogna cambiare sempre opinione per restare del proprio partito. Vattimo, invece, ha cambiato sempre partito per restare della propria opinione: meglio avere un seggio nell’Europarlamento che non averlo.

Del resto, il “pensiero debole” -tutto interpretazioni e nessuna verità- ben si presta ad autorizzare ogni giravolta politica, ogni libertà di metafora e di manipolazione, ogni paradosso brillante. Come quello secondo cui i Protocolli dei savi anziani di Sion sono sì falsi, ma è come se fossero autentici (ma questa volta il professore si è beccato dall’ambasciatore israeliano in Italia, Naor Gilon, una esplicita accusa di antisemitismo).

Al congresso di Colonia del 1893, il dirigente della socialdemocrazia tedesca August Bebel  definì “socialismo degli imbecilli” la propaganda e sentimenti antigiudaici presenti nel movimento operaio dell’epoca. Quel tipo di socialismo è come un fiume carsico: sparisce e  all’improvviso riemerge anche nei luoghi più insospettabili.

Per questo, dare la croce addosso solo a Vattimo sarebbe ingeneroso e anche ingiusto. Il guaio più serio è -per parafrasare un famoso aforisma di Bruno Barilli- che molti intellettuali italiani non hanno mai perso il vizietto di “correre in soccorso del vincitore”.

 



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