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Il futuro incerto dei marò in India

Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Nel balletto di notizie che si susseguono si attende quella di lunedì. Il 20 sapremo se il ricorso alla Corte Suprema indiana volto a scongiurare l’applicazione del SUA Act, che prevede la pena di morte per i colpevoli di omicidio, avrà successo.

Si confida addirittura che le autorità indiane possano consentire il ritorno in Italia dei marò, fermo restando che il processo a loro carico continua per i capi d’imputazione previsti dal Codice penale indiano. Vorremmo essere ottimisti. Purtroppo le previsioni sono state altre volte puntualmente smentite, anche perché fondate solamente su dichiarazioni di organi dell’esecutivo (ministro degli esteri e ministro della giustizia) riportate dalla stampa.

ERRORI E PIROETTE
Stendiamo un velo pietoso sugli errori del passato. Chi si assume la responsabilità di aver consentito alla Enrica Lexie, con a bordo i marò italiani, che si trovava in alto mare, di ottemperare all’invito delle autorità indiane a dirigersi nel porto di Kochi?

Per ben due volte i marò sono tornati in Italia: per la licenza natalizia (2012) e in seguito per votare alle elezioni politiche. Perché non si è approfittato, già la prima volta, della loro presenza sul territorio nazionale per non riconsegnarli all’India? La seconda volta un maldestro tentativo di seguire questa via è finito in una farsa tragicomica e l’Italia ha ceduto di fronte alle minacce indiane nei confronti del nostro agente diplomatico.

Ogni tanto ci si ricorda dell’affaire marò e si rincorrono proposte più o meno strampalate. C’è chi voleva candidarli alle elezioni politiche anticipate e ora a quelle del Parlamento europeo, chi vorrebbe far intervenire le Nazioni Unite (ma quale organo?), chi invece, abituato alle piroette diplomatiche, propone mosse e contromosse e chi muscolose contromisure, senza spiegarci esattamente in cosa consistano. L’elenco potrebbe continuare.

L’ignoranza regna sovrana, anche ai più alti livelli. Si paventa l’applicazione della legge antipirateria indiana, che prevede la pena di morte. Ma le autorità indiane, almeno a livello di Nia (National Investigation Agency), hanno parlato di applicazione della legge indiana (SUA Act), che dà esecuzione alla Convenzione sulla repressione degli atti illeciti di violenza contro la navigazione marittima del 1988 che, ironia della sorte, fu negoziata a Roma nel quadro dell’Imo (Organizzazione marittima internazionale) su iniziativa italiana dopo l’incidente dell’Achille Lauro (1985), il transatlantico italiano dirottato da un commando palestinese.

La Convenzione del 1988 e di conseguenza il SUA Act sono inapplicabili al caso concreto, poiché essi riguardano il terrorismo internazionale e l’atto che viene imputato ai due marò, a parte ogni altra considerazione circa la veridicità dei fatti asseriti dall’accusa, non è ovviamente qualificabile come terrorismo.

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Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.


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