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Italicum bis, la quadratura del cerchio

È finita la democrazia del frammento. È totalmente riabilitato il maggioritario De Gasperi-Scelba. Riacquista vigore la politica delle alleanze. Non dimenticando che l’accordo fra le due maggiori formazioni politiche italiane prevede un processo riformatore più ampio e tutt’altro che marginale: la trasformazione radicale del senato in camera delle autonomie; il riordino del titolo V Cost.; la diminuzione drastica dei costi della politica e, almeno come orientamento, la riforma del lavoro. Teoricamente, ci si potrebbe avviare verso una nuova fase costituente nella quale, dopo circa settant’anni, si può adeguare la magna charta ad una comunità nazionale del tutto modificata anche nelle strutture sociali, politiche, tecniche, di civiltà.

Tutto bene, dunque, tutto perfetto? No. In una società pluralista c’è sempre qualcuno che può lamentare un bisogno inaccettato. Ma in gioco non c’è la soddisfazione dell’unità marginale. C’è una riforma complessiva del paese al livello dell’esercizio della democrazia come avviene nelle maggiori democrazie dell’Occidente. Dove esistono gli sbarramenti in basso; non preferenze per la selezione della classe politica; conquista del potere laddove si superi anche di un voto il diretto concorrente.

Certo, nel 1946, al primo voto politico, c’erano le preferenze, come c’erano le pluricandidature, come esisteva un collegio unico nazionale che valesse a garantire a qualsiasi partito di vedere eletto il proprio gruppo dirigente. Ma dopo la disastrosa prova del bipolarismo all’italiana che ha fatto emergere partitini; sviluppare cespugli politici legati a singole persone incapaci di restare democraticamente in un gruppo andando qualche volta in minoranza; fare esplodere un terzo polo che respinge qualsiasi alleanza presumendo di possedere la formula magica esclusiva del futuro, il disordine regnava sovrano. E, con esso, il distacco progressivo dei cittadini dalla politica, che è condizione vitale per giungere ad una democrazia matura, anzitutto deideologizzata.

I minori non sono penalizzati se, riconoscendo la necessità di un ritorno alle alleanze fra omogenei e affini, piuttosto che imprecare contro un destino amaro nel quale sono andati da soli ad infilarsi per mancanza di democrazia interna, procurassero di studiare bene i sentimenti popolari, approfittandone per dar vita a coalizioni credibili, rappresentative di settori importanti della società. Il centrismo degasperiano cadde ad opera di minori che, presumendosi grandi e aspirando ad alternare la Dc nel potere, pretendevano di rafforzarsi con alti premi di maggioranza, gli unici che avrebbero permesso di scavalcare una Dc che restava nei cuori degli italiani. Non era vero che i piccoli partiti non fossero protetti da De Gasperi. Al contrario De Gasperi si sacrificò (abbandonando la proporzionale) per rendere possibile una democrazia dell’alternanza. Morale: i piccoli si spaccarono ulteriormente e il maggioritario non premiò i dissenzienti e, anzi, li escluse dal parlamento.

Qualche volta i moderati dello 0,5 dovrebbero essere più cauti: collegandosi ad altri moderati hanno poco da temere; pretendendo di potersi gonfiare come i rospi negli stagni altrui, muoiono invece di sete. A beneficio di altri che riescono a rimanere a galla pur non rappresentando che le briciole del consorzio nazionale.



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