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La lettura teologica delle Confessioni di St. Agostino del cardinale Becker

Bisogna distinguere tre accezioni di teologia.
Nel primo senso, classico da 5 secoli, teologia è la scienza che ha come oggetto la fede cattolica, una scienza che ha due rami. Nel primo, nella teologia positiva, la fede viene rilevata con le tre fonti della conoscenza della rivelazione: la Scrittura, la Tradizione ed il Magistero. Nel secondo, nella teologia speculativa, la fede viene confrontata davanti alla ragione, con le difficoltà della ragione e dell’esperienza della vita. Formulare una teologia delle Confessioni è impossibile, poiché le Confessioni non sono rivelate e neppure sono oggetto di fede. Inoltre, una teologia nelle Confessioni è impossibile, poiché Agostino non conosce ancora il metodo odierno. In questo primo senso quindi è impossibile svolgere il nostro tema.
Nella sua seconda accezione, quella della patristica greca, la teologia è il discorso su Dio, sempre compreso come un Dio operante nell’oikonomia. In tal senso col tempo Giovanni l’Evangelista o Gregorio Nazianzeno saranno entrambi chiamati con l’appellativo di teologos. Questo senso è quello che risulta più vicino a Agostino, ma non è ancora quello più adatto a descriverlo, perché non coglie lo specifico delle Confessioni.
Il terzo senso della voce teologia, oggi in un uso, è altrettanto diffusa quanto confusa: Dio è l’ente supremo, ente trascendente, il mistero che si nasconde; fare teologia vuol dire occuparsi di questo ente. Ma questo non è Agostino. Inoltre, bisogna considerare che nella sua opera la voce teologia non è così decisiva e, in particolare, nelle confessioni non ricorre mai. Che cosa quindi trattiamo? Forse solo il discorso su Dio dei Padri Greci?
Certamente Agostino ha tenuto nelle Confessioni un discorso su Dio. Ma quale? Dobbiamo quindi presentare il pensiero di Agostino su Dio, per trovare quello specifico del suo discorso che non è identico a quello dei Padri greci. Infine nella conclusione dovremo vedere in che senso si può parlare nelle Confessioni di Agostino di una teologia.
In questo tentativo che ci accingiamo a compiere, prenderemo anzitutto in considerazione il fine delle Confessioni e poi i due mezzi per raggiungerlo; concluderemo con alcune considerazioni
circa il modo di intendere tale fine. In pratica svilupperemo alcune delle tematiche indicate dallo stesso Agostino.

IL FINE DELLE CONFESSIONI

Il fine delle Confessioni senza dubbio è la lode di Dio. Subito sin dall’inizio del primo libro Agostino scrive: « laudare te vult homo ». E ripete l’idea varie volte. Il decimo capitolo, poi, è tutto un giubilo in cui scrive: « Percussisti cor meum verbo tuo et amavi te » (X,6) . Il XIII libro comincia con la seguente invocazione « Invoco te, deus meus, misericordia mea » (XIII,1)- E all’inizio delle ritrattazioni il Santo scrive: « I 13 libri delle mie confessioni lodano Dio giusto e buono ».
Per noi, uomini moderni, ‘lodare Dio’ può essere una frase qualunque, come ‘Oggi è giovedì’. Per Agostino è molto di più. Bisogna leggere la poesia della grandezza di Dio in I,4 e la profonda preghiera in I,6, riassunte all’inizio dell’opera Magnus es Domine, et laudabilis valde (I,1), per capire che tutta la sua esistenza ne è coinvolta. L’uomo geniale che era arrivato ai vertici delle sue ambizioni – aveva ottenuto un posto di professore di retorica nella capitale dell’impero, a Milano e stava preparando un panegirico sull’imperatore – quel personaggio aveva abbondonato tutto; a Cassiciacum egli aveva capito che solo una cosa valeva nella vita, la lode di Dio in Gesù Cristo.
Su questa finalità della sua opera non ci può essere il minimo dubbio. Per arrivare a questa lode bisogna però valutare bene i due mezzi indicati da Agostino stesso.

IL PRIMO MEZZO: DAL COR INQUITUM ALLA QUIETE 
Questa inquietudine si menziona varie volte. Si trova all’inizio delle Confessioni nella frase che conosciamo tutti: «Tu excitas, ut laudare te delectet, quia fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te». Questa inquietudine deve finire nella quiete che torna alla fine del XIII Libro in cui Agostino ricorda i giorni della creazione e spiega il settimo giorno in cui Dio riposa. Ma il Santo spiega che Dio durante i giorni della Creazione non ha mai perso la sua tranquillità; se la Bibbia parla di un suo riposo al settimo giorno non vuole dire che Dio nei primi 6 giorni aveva perso la sua quiete, ma che l’uomo durante tutte le sue fatiche non deve mai dimenticare che può e deve arrivare alla quiete che gli permette di incontrare e lodare Dio. E alla fine, nella penultima pagina dello stesso Libro annota: «Domine Deus, pacem da nobis… pacem quietis, pacem sabbati, pacem sine vespera» (XIII,35).
Ma la nostra vita è inquieta. Ḕ l’inquietudine della creatura che cerca il bene e trova anche il male, che cerca il vero e trova anche il dubbio, che tende verso la riuscita e non la trova mai completamente. La quiete desiderata non è nelle nostre mani.
Dove si potrà trovare un aiuto in questa ricerca ininterrotta? Agostino cerca l’amicizia, la trova ma la vede stroncata dalla morte dell’amico; cerca la bellezza di una donna e si trova incatenato alla libidine; cerca la verità e si trova insoddisfatto dall’ Hortensius; cerca la carriera e trova l’amarezza di un mondo vuoto e vanitoso. Lo stretto amico dell’adolescenza, più tardi un Alypius e un Nebridius, non sono tutto. Dov’è l’origine di questa scissione nella vita che cerca il bello ed il vero, e non lo trova, anzi talvolta agisce contro di essi? Ḕ la quiete che egli cerca una continua illusione?

L’uomo cerca Dio e non lo trova. La ricerca di Dio è disturbata. Ma a Cassiciacum Dio ha mostrato che Egli è la pace e ha dato la pace. Egli deve darla, ma l’uomo non la trova.

IL SECONDO MEZZO: LE OCCASIONI DEL MALE E DEL BENE
Il secondo mezzo è indicato nelle Ritrattazioni. I 13 libri vogliono lodare Dio in occasione del male e del bene in me. Quindi le esperienze ed i pensieri della vita sono e devono essere un’occasione per lodare Dio che con la sua misericordia supera e perdona i peccati e che con la sua grazia rende possibile il bene in noi.
Tutto il ricordo dei suoi peccati ha per Agostino nelle sue Confessioni un senso. «Mi voglio ricordare delle mie sporcizie e delle mie corruzioni» – scrive Agostino in II,1 – «non quod eas amem, sed ut amem te, deus meus. Amore amoris tui facio istud».
Vediamo quindi la linea generale dei suoi misfatti che il Santo racconta per illustrare la situazione di ciascuna vita.
Il ragazzo ruba le pere, non perché gli piace mangiarle, ma perché gli piace sentirsi indipendente ed essere come Dio. Nella retorica egli insegna ai suoi discepoli cose cattive, vane ed utili per l’ambizione.
Che cosa gli rimane? L’amico che si unisce con lui, lo riempie di gioia e gli viene tolto dalla morte? Perché mi viene fatto questo male? Il Neoplatonismo che mostra una via all’uno, a Dio, ma non soddisfa tutto il desiderio di Dio? Perché avviene? Faustus, la celebrità dei Manichei? Mani che sembra risolvere il problema del male nella vita umana, affermando un principio del male accanto al principio del bene, Dio? E Faustus è una delle più grandi delusioni di Agostino.
L’origine del Male ha occupato molto Agostino (cf, p.es. VII,1-16). Ḕ il male una materia originaria accanto a Dio? No, poiché tutto è Dio o creato da Dio. Ma Dio è buono, ha creato tutto e perciò tutto è buono. Agostino ha anche riflettuto sull’astrologia se forse potesse risolvere il problema del male. L’ha rifiutato e alla fine arriva alla conclusione: «Et quaesivi, quid esset iniquitas, et non inveni substantiam, sed a summa substantia, te Deo, detortae in infima voluntatis perversitatem» ( VII,16).
A Cassiciacum avviene la risposta. In Rom 13,13 Agostino legge: “Induite Dominum Iesum Christum”. Ḕ Cristo che supera il male e perdona i peccati. Cristo aveva vinto, non Agostino. Il suo proprio impegno non ha dato il risultato desiderato, ma Dio ha donato questo risultato. L’uomo deve cercare la verità, deve cercare Dio. Ma Dio comunica la verità, Dio dà se stesso. L’uomo deve cercare il bene. Ma è Dio a concedere il bene.
Adesso incomincia la gioia di una vita che ha trovato il suo senso, la sua pace.
Non altri uomini mediano questo incontro, l’unico mediatore è Gesù Cristo.

IL MONDO DELLA LODE: LODARE IL DIO TRINO
Agostino cerca di entrare il più possibile in quel Dio che vive in lui e gli dà la vita. Ma lo fa in occasione della sua Esegesi della Genesi.
Richiede la nostra attenzione l’importanza che ha la Ss. Trinità in questa esposizione della Bibbia dell’Antico Testamento sulla creazione. Agostino considera ciò che oggi chiamiamo “Trinità in sé e Trinità economica”, vuol dire in ordine della Salvezza.
La Trinità in sé viene spiegata con un paragone che guarda all’uomo.
La terna esse, nosse, velle che certamente esiste nell’uomo, viene usato per avvicinarci al Padre con l’esistenza, al Figlio con l’intelletto, e allo Spirito Santo con la volontà. Ma se questa triplicità caratterizza i tre in Dio o se questa triplicità esiste in ognuno dei tre in Dio, chi lo sa? (XIII,11). Agostino non si pronuncia.
Ma la Trinità viene anche considerata come economica, come oggi si suole dire, la Trinità nella sua opera di salvezza. (XII,7; XII,20; XIII,5; XIII,7; XIII,8+9; XIII,11)
Queste varie discussioni sulla Trinità nelle confessioni hanno due aspetti.
Il primo è l’idea di un Dio alla cui lode tutta l’opera è dedicata. Il Dio che Agostino vuole lodare è il Dio trino – Padre, Figlio e Spirito Santo – che ci ha creati e che ha a cuore la salvezza di queste sue creature. Il Dio lodato è sempre il Dio che ci ha creato, che nel Figlio ci ha salvato e nello Spirito Santo continua la sua opera nella Chiesa. Il Dio che oggi chiameremmo Dio filosofico non interessa a S. Agostino.
Il secondo aspetto è il modo della lettura della Bibbia dell’Antico Testamento. Agostino lo legge come messaggio cristiano, vedendo in esso descritta l’opera della Trinità. Agostino legge, come tutta la Chiesa del suo tempo, il vecchio Testamento con occhi cristiani.

CONCLUSIONE: LA TEOLOGIA DELLE CONFESSIONI 
Adesso dobbiamo rispondere alla domanda lasciata aperta all’inizio della nostra conferenza. Ha Agostino una teologia? Almeno nel senso di un discorso su Dio?
Le confessioni sono state considerate la migliore autobiografia della letteratura mondiale. Ḕ vero che la sua opera contiene elementi della sua biografia, ma il testo è troppo lacunoso per una vera biografia. Inoltre questa opinione non considera la finalità così chiaramente espressa dall’autore, la lode di Dio.
Allora, tralasciando l’autobiografia, torniamo al titolo che Agostino stesso ha dato alla sua opera, ‘confessioni’.
Molti autori distinguono la confessio laudis, confessio peccati e confessio fidei. Certamente questi tre elementi si trovano nell’opera. Ma come possiamo tradurre la parola latina confessio in una lingua moderna? Nella mia lingua non esiste una traduzione esatta; e se nella vostra lingua materna esiste, dovete deciderlo voi.
Allora rimaniamo nel discorso su Dio come nei Padri Greci? No! Questo titolo è corretto, ma insufficiente. Va completato.

Quest’opera è una discorso rivolto a Dio per ringraziarlo per la misericordia con la quale ha cancellato i peccati degli uomini. Quest’opera è rivolta a Dio per esprimergli la propria gratitudine per aver preso in mano la vita di Agostino.
Quest’opera è un giubilo su Dio espresso in parole e nella presentazione della propria vita sotto la guida e misericordia di Dio. La descrizione della propria vita vuol essere una comunicazione vissuta della fede e della vita di fede. Una comunicazione rivolta ai lettori affinché seguano la stessa strada.
Quest’opera è uno stupore su Dio, stupore che si meraviglia che un Dio così grande si occupi dell’uomo così fragile per lasciarlo partecipare alla propria vita, gioia e quiete.
La nostra teologia può imparare molto da Agostino.
Fin qui abbiamo cercato di enucleare in che senso le Confessioni possano essere considerate teologia. Ora cambiamo direzione e domandiamoci se questa teologia di Agostino possa insegnare qualcosa alla teologia di oggi. Mi sembra che le Confessioni di Agostino mostrino ciò che la teologia di oggi dovrebbe diventare, senza perdere i valori del passato.
Dovrebbe essere una lode a Dio, esattamente in un tempo che diventa sempre più ateo. Agostino dice chiaramente che Dio per il mediatore Gesù Cristo è la salvezza della sua vita personale. Lo dice in un tempo che non è del tutto cristiano, anzi in parte pagano. Agostino non si limita ad una esposizione su Dio con mezzi filosofici. Egli parla del Dio delle fede cristiana.
La teologia di oggi dovrebbe diventare un discorso fondato anche sulla propria vita, in un tempo in cui cerca, talvolta disperatamente, esempi da seguire nell’onnipotenza dell’economia, della tecnica e dei massmedia. Il teologo deve insegnare con le sue parole, ma soprattutto con la vita.
La teologia dovrebbe diventare una meditazione che mostra i pregi e le debolezze dell’uomo, prendendosi cura della sorte di quest’essere. Con i propri sforzi l’uomo non arriva alla sua perfezione tanto desiderata. È necessaria la mano di Dio. Un tempo, che è continuamente ingannato circa la sua capacità di risolvere tutti i problemi, ha bisogno di questo messaggio predicato con l’esempio della vita, come ci insegna Agostino.
La teologia deve diventare una presentazione di Gesù Cristo, e parlare di problemi sociali, politici ed economici solo sullo sfondo di lui. Un impegno puramente sociale, politico ed economico non è teologia.


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