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L'”ariete” e il vero leader

La forte spinta propulsiva di una nuova classe dirigente nel panorama della politica attuale – per lo più caratterizzata da ambizioni “rottamatrici” – rivela un desiderio di cambiamento che se da una parte contiene elementi positivi, dall’altra tuttavia desta non poche preoccupazioni circa le condizioni e modalità della sua attuazione.

Mi è stato spiegato in più sedi, da sostenitori attivi di questo presunto cambiamento, che in questa fase è necessario con coraggio avviare una fase di rottura e che di questa debba farsi artefice un impavido “ariete”, magari un po’ guascone e presuntoso, tuttavia indispensabile per superare l’impasse, creare una rottura e portare all’interno del sistema volti nuovi e apparentemente meritevoli per avviare una fase nuova.

Questo “ariete” non dovrebbe (a detta dei sostenitori in sua difesa) necessariamente avere dei contenuti, non dovrebbe pertanto entrare troppo nel merito delle questioni urgenti che richiede il Paese. Ci penserebbero i newcomers che grazie a lui entrano nel sistema. Ma – mi chiedo io – saranno in grado? Questa incognita già costituisce un freno al cambiamento, a mio parere: è davvero il parametro generazionale l’unico elemento costitutivo per avviare una nuova fase politica che rompa con le incrostazioni del passato? Aggiungo: è razionalmente accettabile che a fronte degli errori del passato si voglia dare una possibilità a dei newcomers in virtù della sola novità che essi costituiscono? Mi pare illusorio e rischiosissimo, quasi a voler trattare il Paese come una cavia soggetta a esperimenti.

L’”ariete” ci mette la faccia, fornisce messaggi chiari a tutti, ambisce a riavvicinare la gente alla politica con una comunicazione accattivante e per alcuni simpatica. Sovverte quindi del tutto il modello a cui siamo abituati, ma con quali fini? Ed è ciò sufficiente per essere un leader?

La leadership – come ha ben spiegato un grande leader di questi tempi – comporta la capacità di assumersi responsabilità al servizio del bene comune: ma allora, come  si può pretendere di essere un leader senza costruire un orizzonte, senza avere una “visione” a cui tendere? La visione la danno i “contenuti”, le idee, la formazione, e grazie a questa si stabiliscono le priorità su cui il leader può concentrarsi. Se manca il senso, il fine della leadership, questa rischia di trasformarsi presto, perché la leadership non è un fine, è un mezzo. E se gli eventuali fini di questa leadership, sbandierati e dichiarati a gran voce, non sono realmente creduti e condivisi, diventano puro marketing. A danno, ahinoi, del Paese.


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