Qualcosa s’è rotto, nel magico mondo della finanza europea. E malgrado le banche centrali non facciano mancare il loro amorevole conforto, sotto forma di accomodanti cuscini imbottiti di liquidità, le banche continuano a non fidarsi. Non soltanto dell’economia reale, che appare asfitica e vagamente deflazionaria in Europa e stanca persino nel magico mondo anglosassone del Quantitative easing. Non si fidano neanche l’una dell’altra. Il mercato interbancario è in piena glaciazione.
Qualcosa s’è rotto, specialmente in Europa, e pure se tutti giurano che ormai il danno è riparato, le statistiche dicono il contrario. Quelle della Banca dei regolamenti internazionali, per esempio, che ha rilasciato il suo ultimo International banking statistics relativo al terzo trimestre 2013.
Scorrendo dati e tabelle, leggo una frase rivelatoria: “La magnitudo e la durata del declino delle posizioni interbancarie globali dal 2011 è simile a quella osservata durante la crisi globale del 2008-2009″. Con una differenza non da poco: “Nel 2008-09 la contrazione dell’interbancario era comune a tutto il mondo, mentre nel 2011-13 si è concentrata in Europa, specie nell’eurozona”.
Il mercato interbancario, lo ricordo, è quello che alimenta i prestiti fra le banche in eccesso di liquidità e quelle che ne abbisognano. Tali prestiti, che vengono remunerati nel mercato europeo col tasso Euribor, possono anche solo coprire l’arco delle 24 ore. Si parla in tal caso di credito intraday . Tale credito ha un suo tasso di riferimento che si chiama Eonia.
Misurare lo stato di salute dell’interbancario, serve ad avere un’idea del livello di fiducia che le banche nutrono l’una nei confronti dell’altra, e quindi del sistema nel suo complesso. Un mercato interbancario congelato, perciò, significa che le banche si sono rinchiuse in se stesse. Pensano ai fatti propri. E’ una forma di protezionismo, che, di fatto, riduce la circolazione del capitale.
La nube che oscura il sole del credito ha radici profonde. Dopo la crisi del 2008, i regolatori hanno spinto le banche innanzitutto a rinforzare i propri requisiti di capitale, mentre allentavano la disciplina monetaria fornendo garanzie e liquidità per dar loro il tempo di sbarazzarsi della spazzatura finanziaria accumulata nei bilancio nel anni del bengodi. Da questo punto di vista gli osservatori assicurano che ci sia stato un miglioramento. Le banche sono più capitalizzate e i bilanci alleggeriti (a spese di quelli pubblici) dalla spazzatura.
Rimane però il problema della fiducia, e non è questione da poco. Nel caso dell’eurozona, poi, è all’opera quella che potremmo chiamare una maligna eterogenesi dei fini, ossia la gelata è una conseguenza non intenzionale di un’azione intenzionale. L’azione della Bce.
Pochi giorni fa il Financial Times ha scritto di un’improvvisa impennata del tasso Eonia, quindi del costo dei prestiti overnight, provocata dalla restituzione alla Bce di ben 450 miliardi che le banche euroee avevano preso in prestito col primo LTRO, ossia l’operazione tramite la quale la Bce aveva concesso prestiti all’1% per tre anni. La conseguenza di tale maxi rimborso è stata duplice: da un lato si è sgonfiato il bilancio della Bce, che ha sterilizzato l’equivalente quantità di moneta. Dall’altra si è ristrezza la liquidità. La diminuizione della liquidità ha avuto l’effetto di far salire i tassi overnight, che dopo l’ultimo taglio del costo del denaro della Bce erano scesi quasi a zero, e invece sono risaliti a 35 punti base la settimana scorsa.
Ma aldilà dei tecnicismi, è il senso dell’accaduto che è importante: le banche hanno dato priorità alla regolazione delle proprie pendenze con la Bce, piuttosto che fare credito alle altre banche. Ognuno pensa ai fatti suoi, insomma. Tutto il contrario di come dovrebbe funzionare un modello cooperativo.
Questa mentalità curtense, appannaggio della solita Europa a vocazione deflazionaria, checché ne dicano, rassicuranti, i nostri banchieri centrali, è il sintomo però di una tendenza globale, cui non è estranea la Fed.
La contrazione dell’attività bancaria internazionale, nel terzo trimestre 2013 è arrivata a 508 miliardi di dollari, pari all’1,8% del totale, che ha finito con l’assestarsi a quota28,5 trilioni di dollari (28.500 miliardi). “La gran parte di questa contrazione – spiega la Bri – ha riguardato il mercato interbancario, che ha continuato il suo declino evidente fin dal 2011″. Dal settembre 2011 al settembre 2013, il mercato interbancario, compreso quelle infragruppo, ha cumulato un calo ari a 2,9 trilioni di dollari, il 15% del totale.
Il 2011, in Europa, è lo stesso anno in cui la Bce ha dato inizio all’LTRO. Quindi ha un senso che i flussi interbancari siano rallentati nell’eurozona, visto che le banche avevano a disposizione la generosa Bce a rifornirle di liquidità. Adesso però il flusso si è invertito: la Bce si è trasformata in calamita di liquidità bancaria. Ma il risultato non cambia: l’interbancario europeo si sta prosciugando.
La gelata del credito dell’estate del 2013 è preoccupante perché ormai individua un preciso trend che inizia dal 2011. La Bri ipotizza che il calo del terzo trimestre sia da imputarsi alla volatilità sui mercati finanziari provocata dopo l’annuncio di maggio della Fed dell’inizio del tapering, poi molto provvidamente ritrattato. Ma evidentemente, aldilà della circostanza specifica, la contrazione ha ragioni assai più profonde, direi strutturali.
Se andiamo a vedere l’andamento del credito verso gli operatori non bancari, quindi istituzioni finanziarie non bancaria, governi o aziende, nel terzo trimestre c’è stato un calo dello 0,3%, pari a 37 miliardi dell’attività globale che, per quanto ridotto, si connota per essere il secondo consecutivo. Col risultato che la crescita già modesta di tale voce durante il 2012 è stata completamente azzerata.
Quanto ai mercati emergenti, anche il credito nei loro confronti mostra segnali di rallentamento. L’attività si è incrementata di appena 57 miliardi, in gran parte però assorbiti dalla Cina, mentre nel resto dei paesi emergenti il declino è diffuso. Non a caso nel corso del vertice di Davos, andato in scena in questi giorni, abbiamo assistito all’autopromozione dei paesi emergenti in debito d’ossigeno finanziario, proprio mentre si ventilava la solita crisi in Argentina e il rublo raggiungeva il suo minimo storico sull’euro e il dollaro.
Ecco perciò la singolare morale, che ci insegna questa storia. Le “emissioni” finanziarie delle banche centrali, in particolare della nostrana Bce, hanno avuto sul clima bancario generale lo stesso effetto dei gas serra: hanno riscaldato l’aria fino al punto di condurre il credito verso una grande glaciazione. Prima perché hanno incoraggiato le banche a dismettere qualunque forma di cooperazione, in quanto ognuna era incoraggiata a rivolgersi alla Banca centrale per i suoi fabbisogni, poi perché, una volta che la tensione finanziaria si è allentata, la Bce è diventata un ricettacolo di liquidità. A livello globale, poi, vedremo i danni che provocherà la “ritirata” della Fed.
Questo per dire che ogni volta che invochiamo un intervento pubblico dovremmo ricordarci che ha sempre conseguenza.
Specie non intenzionali.