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L’inverno del Made in Europe

Sarà perché siamo nel cuore di gennaio, ma ho avuto un sentore d’inverno scorrendo gli ultimi dati della bilancia mercantile dell’eurozona e dell’Ue ormai a 28.

Sensazione controfattuale, peraltro, giacché l’Eurostat, che ha diffuso i dati dell’import/export di merci di novembre 2013, si è ben premurata di strillare un titolo con corpo evidente dove leggo che il surplus commerciale della zona euro ha superato i 17 miliardi di euro, quasi cinque in più rispetto ai 12,5 miliardi di novembre 2012. E più avanti, nel testo, leggo che a ottobre 2013 ha segnato un surplus di 16,8 miliardi, a fronte dei 9,6 di ottobre 2012.

Senonché il sentire invernale mi si è rafforzato quando ho letto che i dati aggiustati per la stagione indicano che, malgrado il surplus, l’export novembrino di quest’anno è calato dello 0,2%, ma ancora peggio ha fatto l’import, che ha perso 1,2 punti pecentuali.

Sicché, mi dico, si ripete ancora una volta il vecchio copione che tiene in piedi i conti con l’estero dell’eurozona ormai da più di un anno: il calo delle importazioni spinge in cima i saldi attivi, in maniera più che proporzionale rispetto all’aumento delle esportazioni. Che infatti frenano.

Se allarghiamo lo sguardo all’Ue a 28, la sensazione di essere in piena stagione fredda persiste. A novembre 2013 il saldo commerciale segnava un surplus di 3,4 mld, a fronte del deficit di 3 mld di novembre 2012. Ad ottobre però il saldo attivo era stato di 4,8 mld, un bel miglioramento rispetto al deficit di 10,2 miliardi di ottobre 2012. Quindi è il calo del deficit a guidare la ripresa dei saldi.

Se estendiamo l’analisi ai primi 11 mesi del 2013, confrontandola con lo stesso periodo del 2012 traiamo altre informazioni. Nell’eurozona a 17 il totale delle esportazioni, nel 2013, ha espresso un valore di 1.738 mld di euro, l’1% in più rispetto al 2012. Le importazioni però sono calate del 4%, a 1.599,5 mld a fronte dei 1.659,3 del 2012. Nell’Ue a 28 invece, l’export del 2013 è aumentato del 3% a fronte però di un calo dell’import del 7%. Si può dedurne che la presenza nel raggruppamento di monete diverse dall’euro, abbia favorito le esportazioni, perché magari la moneta di alcuni stati si è svalutata rispetto a quella delle controparti, ma per la stessa ragione ne siano risultate svantaggiate le esportazioni. Ma il risultato finale non cambia: l’Europa tutta importa meno merci dall’estero assai più di quanto ne esporti.

I vecchi mercantilisti avrebbero fatto salti di gioia.

Vale la pena rilevare che, quanto all’eurozona, gran parte del calo di importazioni si registra nel settore delle materie prime (-5%) e dell’energia (-8%), ossia due costituenti dei processi industriali.

Altre informazioni le traiamo dal flusso degli scambi fra l’eurozona e i singoli paesi del resto del mondo. I dati confrontano il periodo gennaio-ottobre 2012, con lo stesso periodo del 2013.

La prima osservazione degna di nota è che l’export verso gli Stati Uniti è diminuito del 2%, a fronte di un calo del 3% dell’import. Anche per tale ragione il saldo rimane attivo per oltre 60 miliardi.

L’export verso la Cina, invece, è sostanzialmente rimasto immutato, a 101 miliardi, mentre le importazioni dalla Cina sono diminuite del 6%, a quota 170 miliardi, dimegrendo il deficit delle merci a 69 miliardi.

Quanto al Giappone, anche qui le esportazioni dell’eurozona sono diminuite del 3%, mentre le importazioni sono crollate del 13%. La conseguenza è stata che il deficit di 4,2 miliardi del 2012 si è tramutato in un surplus di 200 milioni.

Il secondo deficit per importanza dell’eurozona è quello nei confronti della Russia, che al contrario degli altri è aumentato fino a 47,4 miliardi, a causa di una diminuizione dell’export del 2% e a un aumento dell’import dell’1%.

Infine, aumenta il saldo attivo verso il Regno Unito, che raggiunge i 62 miliardi nel 2013 (53,7 nel 2012) grazie a una crescita del 3% dell’export e a un calo del 2% dell’import.

Da questi dati si nota con chiarezza come i paesi occidentali anglosassoni, ossia quelli oggetti di politiche monetarie espansive, siano la principale fonte di attivi commerciali per l’eurozona, mentre i paesi orientali Russia e Cina si confermano essere la principale fonte di deficit. Il dato economico, quindi, ne sussume uno politicamente rilevante.

Ma poiché l’eurozona è un aggregato contabile, che al suo interno cela importanti differenza e divergenze, vale la pena analizzare le statistiche relative ai singoli paesi per completare il nostro quadro informativo.

Cominciamo dalla Germania, se non altro perché conferma il suo primato di attivi commerciali, accumulando un surplus di 166,3 miliardi fra gennaio e ottobre del 2013, in crescita rispetto ai 159,5 del 2012. Ebbene, se andiamo a vedere il dato delle esportazioni, la prima evidenza è che la crescita è stata pari a zero. Il miglioramento dei saldi è dovuta interamente al calo delle importazioni dell1%. L’inverno non risparmia neanche la Germania, insomma. Ciò malgrado sia aumentata la quota di export nei paesi extra Ue del 2%, che evidentemente non è riuscita a compensare la perdita di export nel mercato interno dell’eurozona.

Se guardiamo l’altro grande esportatore dell’eurozona, cioé l’Olanda, i dati sono pure peggiori. L’export è calato del 2%, ma l’import del 3. E ciò spiega perché il surplus sia diminuito di circa cinque miliardi fra il 2012 e il 2013.

L’Italia, che occupa il terzo posto fra gli esportatori dell’eurozona, per valore, replica, peggiorandola, la performance della Germania. La crescita dell’export è stata pressoché pari a zero, in compenso l’import è crollato del 6%. Il nostro surplus, di conseguenza, è più che quadruplicato, passando dai 5,5 miliardi del 2012 ai 23,7 del 2013. D’altronde nei periodi invernali, nontoriamente letargici, si consuma il grasso accumulato.

Per completare il quadro, è interessante rilevare che gli unici aumenti di export registrati nell’eurozona si sono registrati in Grecia (+4%), Spagna (+4%), Cipro (+11%), Portogallo (+4%), Slovenia (+2%), ossia tutti paesi finiti nei guai o sotto protezione. Specularmente, e non è certo un caso, la Grecia ha visto calare le proprie importazioni del 4%, la Spagna pure, Cipro del 18%, mentre Portogallo e Slovenia sono stazionari.

Rimarchevole anche il peggioramento dell’export irlandese, ossia di uno stato che a detta di tutti sta uscendo dall’emergenza, che però ha perso il 7% di export, assai più del calo del 2% di import.

Infine, vale la pena sottolineare le crescite percentuali rilevanti di esportazioni ottenute da alcuni paesi fuori dall’euro come la Romania (+9%), la Bulgaria (+8%) e il Regno Unito (+12%). Forse la sovranità monetaria li ha aiutati.

Difficile capire quanto sarà lungo l’inverno dell’eurozona. I dati rilasciati dall’Istituto statistico tedesco pochi giorni fa, relativi al Pil 2013 della Germania, cresciuto solo dello 0,4% a fronte dello 0,7% nel 2012, mostrano che la risicata crescita tedesca è stata pressoché trainata dai consumi interni (+0,7), pubblici e privati, mentre il contributo del saldo import/export è stato negativo per 0,3 punti. Le famiglie tedesche hanno tratto sicuramente giovamento dalla crescita media dei redditi, in salita ormai da un paio d’anni, dando un po’ d’ossigeno ai mercanti tedeschi, stretti nella morsa del gelo che spira dal paesi in crisi.

La conclusione qual è? Che la nordica Germania, forte dei suoi attivi commerciali pregressi, che hanno finito col redistribuirsi in parte all’interno via salariale, è cresciuta, anche se poco. Mentre nei caldi paesi del Sud è successo esattamente il contrario. La domanda interna, sia privata che pubblica, è crollata. E con essi la crescita. Con buona pace dei saldi mercantili, la cui crescita giova sul versante della bilancia dei pagamenti ma non mette certo di buonumore i cittadini.

Insomma: l’inverno dell’eurozona è più freddo al Sud che al Nord.

E questo significherà pure qualcosa.

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