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La commozione degli italiani per Pier Luigi Bersani

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma

Il sentimento di dolente incredulità che ha mosso e commosso tanti italiani per il malore che ha colpito Pier Luigi Bersani, ha un risvolto politico che va ben oltre il senso di umanità e di solidarietà che proviamo d’istinto per chi soffre. Un risvolto “politico” nel significato nobile della parola (in tempo di anti-politica e di crescente disgusto nel Paese per il Palazzo, la cosa va subito precisata).

QUALCUNO CHE CI CREDE
È come se, all’improvviso e a sorpresa, avessimo riscoperto una dimensione che avevamo totalmente rimosso dalla politica: che possa esserci davvero, e non per finta, qualcuno che ancora “ci crede”. Al punto da potersi ammalare e finire sul serio in ospedale, cioè dando tutto se stesso per la causa o “per la Ditta”, come correggerebbe l’ex ma sempre spiritoso leader del Pd.

NON SOLO GIOIE
Certo, dalla malattia che in anni recenti interessò Umberto Bossi a quella che in precedenza -giugno 1984-, aveva colpito a morte Enrico Berlinguer, lo storico segretario del Pci, da sempre è noto che fare politica comporti grandi sacrifici, e non soltanto importanti soddisfazioni. Tralasciando ogni discorso di potere, che pure è insito nella ragione sociale d’ogni Ditta-Partito: governare o fare opposizione, poter comunque contare è il traguardo da tutti sognato. Ma nel caso di Pier Luigi da Piacenza, sessantatré anni portati con disincanto, c’è dell’altro.

QUASI ALLA VITTORIA
Quest’uomo che ha portato il Pd al “quasi-gol” per il governo e per il Quirinale, questo signore senza baffi e dalla fronte ampia che col giovane Matteo Renzi ha vinto la battaglia delle primarie, ma perso la guerra della segreteria, questo leader che s’è divertito a farsi canzonare in diretta dalla sua controfigura interpretata da Maurizio Crozza (e senza che i telespettatori capissero chi dei due fosse il vero Bersani), sembra uscito, senza esservi più rientrato, da una pagina di Guareschi. Una sorta di Peppone della modernità, a cui forse è mancato un vero Don Camillo col quale prendersi a botte. Posto che il giovane Renzi le avrebbe soltanto prese, e che il meno giovane Enrico Letta sarebbe stato incapace di darle.

COMMOZIONE POPOLARE
“È un duro mite”, è la bella definizione del fratello e medico Mauro Bersani. Ecco, forse qui sta la spiegazione del perché tanti cittadini, anche quelli che non l’hanno votato e che mai lo voterebbero, siano rimasti così dispiaciuti dell’effetto extra-politico pagato da chi fa politica con serietà da molti anni. Come quel celebre comunista di cui si mettevano in risalto gli strafalcioni anche sulla famosa battaglia di Filippi da lui convertita in Filippo (“non confondiamo la storia con la geografia”, risponderà Don Camillo a Peppone), anche il colto Bersani è rimasto vittima delle sue battute e metafore. Per quella sul giaguaro che voleva smacchiare, dovrebbe pretenderne i diritti d’autore per viverne di rendita.

LA SINISTRA CHE DIVORA I SUOI FIGLI
Ma a Peppone-Bersani non si è perdonato quel che si perdonava al Peppone-Gino Cervi nei film. Una sinistra abituata a divorare i suoi figli, e diventata col tempo e con le sconfitte divoratrice dei suoi stessi padri, ha finito con l’addossare a Pier Luigi non soltanto le colpe politiche che aveva, ma anche quelle immaginarie. Se il Pd avesse vinto le ultime elezioni, anziché non averle perse, la battuta sul giaguaro e le altre non meno bizzarre sarebbero state considerate perle di saggezza di un Timoniere che parla il linguaggio del popolo. Ma tant’è: guai ai vinti.

LA DIMENSIONE DELLA SCONFITTA
Eppure, del Bersani ammalato e per il quale oggi tutti, indistintamente, tifiamo, stiamo riscoprendo proprio la dimensione della sconfitta. Dopo il ritiro, l’uomo s’è limitato a scrivere un libro. A dire che, se c’è bisogno, lui ancora remerà per la Ditta. A sostenere con lealtà il governo. A non fare il vendicativo elenco, nome per nome, di chi lo ha tradito quando cercava di formare un improbabile governo, e soprattutto quando tentava di portare uno dei suoi al Quirinale.

DEGNO DI STIMA
Bersani ha pagato, dunque, anche per errori non suoi, come fu l’incredibile bocciatura di Franco Marini e specie di Romano Prodi da parte di “onorevoli” del Pd che in precedenza avevano assicurato il loro appoggio e voto. Nel momento della difficoltà, la gente dà sempre valore alle cose importanti. E un politico che crede in quello che fa, che sbaglia ma non recrimina, che sa mettersi di lato dopo essere stato di fronte e al fronte, è un italiano degno di stima e di rispetto.

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