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Quelle di Matteo Renzi non sono manfrine, ma solo astuta arte politica

Molti guardano al decisionismo di Matteo Renzi con sospetto. Perché il decisionismo dalle nostre parti è storicamente sintomo di indoli pericolose. Le fughe in avanti, in questa italietta troppo abituata a essere fanalino di coda, vanno bene solo se fatte su di un percorso circolare che rassicura sul ritorno al punto di partenza.
Quindi Renzi pecca, pecca di “fare”. Perché chi fa, sbaglia. I tempi, i luoghi, i collaboratori. I peli nell’uovo sono sempre tanti. Molti osservatori lo sollecitano a misurarsi sin da subito alla prova del governo, facendo calare il sipario sul governo Letta. Ma le sollecitazioni suonano più come una sfida che come l’esito di riflessioni sull’opportunità di un avvicendamento per il bene del paese. Sembra più un riflesso condizionato, un po’ troppo conservatore. Un singhiozzo strozzato in una gola profonda di malcelato moderatismo.
Renzi non andrà a Palazzo Chigi senza una legittimazione popolare. E che ci andrà è un fatto che attende solo una casella nel calendario. Renzi che ha giocato a Risiko sa che chi difende vince anche quando pareggia. E quindi fa bene a muoversi con cautela. Serve il tempo per capire le carte obiettivo degli avversari e può essere utile per trovarli più indeboliti. Certo il paese è in ginocchio. Anche usando al meglio excel, non bastano gli arrotondamenti per eccesso di Letta per fare una ripresa. Ma Renzi può diventare incisivo solo se riesce a fare alla sua maniera.
Solo se impone un progetto comune su come rilanciarlo senza che questo venga liofilizzato a mezzo emendamenti. Renzi fa bene a misurare il suo ascendente contro i tanti portatori di interesse di questo paese sulla questione legge elettorale. Sarà il termometro della sua libertà di manovra futura. Sui temi economici, quelli che toccano i cittadini più da vicino.
Per dire: Renzo Piano pensa a come riqualificare le periferie. Ha in mente tanti piccoli cantieri. Consumo di suolo zero. Ma ce le vedete le banche abituate a gestire le relazioni industriali del paese, aggrovigliate tra i rovi di Mediobanca, Unicredit, Partecipazione Statati, Assicurazioni e l’80% delle imprese pubbliche, a dover far credito a piccoli impresari con progetti concreti da finanziare? Ce li vedete tutti quei bru bru, versione opaca di Raffaele Mattioli, che da decenni sono sempre lì al loro posto a prescindere dalla coalizione al governo?

Renzi fa bene a rimanere alla finestra e cercare di saggiare il suo ascendente politico pilotando alcune riforme fondamentali da segretario del principale partito del paese costringendo Letta a giocare sul suo terreno. Deve capire fino anche punto può spingersi e quanto è forte la sua capacità di orientare i tenutari di interessi e di rendite di posizione.

Renzi, come vorrebbe il fiorentino, non verrà giudicato sul come farà le riforme, sulle persone che incontra, sul luogo dove le incontra. Né tantomeno sull’eccesso di decisionismo. Ma solo sui risultati. E i risultati che il paese si attende sono legati al miglioramento delle condizioni economiche della classe media divorata dalla stretta fiscale e dalla caduta dei salari.
Renzi deve dimostrare di saper gestire gli strabismi interni al suo partito eternamente diviso. Deve dimostrare di saper trovare una sintesi tra la razionalizzazione delle spese di uno Stato spendaccione ed esteso come una neoplasia e i localismi che pretendono la conservazione dello status quo.
Sarebbe interessante sapere, ad esempio, qual è la posizione di Renzi rispetto alla difesa dello scalo di Caselle. Il Ministro Lupi lo ha inserito tra gli scali di seconda fascia nella pianificazione a medio lungo termine e la cosa ha scatenato una levata di scudi da parte del Sindaco di Torino Fassino e di Carlin Petrini, leader di Slow Food e quindi molto vicino a Oscar Farinetti uno dei principali sostenitori del Sindaco di Firenze.
Sarebbe interessante sapere, ad esempio, se Renzi condivide il progetto di Renzo Piano fatto di parole come “manutenzione” e “bellezza”. Un’idea di sviluppo basata sulla conservazione del territorio, della tutela ambientale, sul miglioramento della qualità della vita. Sulla riqualificazione dell’esistente che pone al centro del dibattito valori come la bellezza, la sicurezza, il policentrismo delle città. Perché se Renzi è d’accordo con Piano non è detto che incontri i favori dei palazzinari che ahinoi hanno distrutto tanta parte del territorio. Pensate alla Liguria, storicamente una regione rossa. Una riviera di alveari occupati un mese all’anno. Pensate alla Calabria. E via così su e giù per lo stivale. Un paese dove la Protezione Civile deve intervenire se una perturbazione dura più di due giorni.
Renzi fa bene ad attendere. Dietro al suo apparente tatticismo, o manfrine che dir si voglia, in realtà c’è l’arte della dissimulazione. Come quando afferma che la politica è bella. Dice bella per non doversi esporre sul suo livello di pulizia. Sa bene Matteo Renzi che la Politica è sporca. Così come quando si fa riprendere, nel suo studio, con alle spalle la fotografia di Giorgio La Pira. Mette in mostra la foto del Santo di Firenze ma nel primo cassetto state certi che ha Sant’Agostino che politicamente giunge alle stesse conclusioni di Machiavelli.
Non esiste stato, città che non sia nata politicamente senza che venisse versato sangue fratricida. La storia ne è piena: da Caino, a Romolo fino al Risorgimento. Renzi prenderà il posto di Letta. Sta solo scegliendo il momento e l’arma più opportuni.

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