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Montreux, il nodo gordiano della Siria

I delegati che stanno arrivando a Montreux difficilmente possono avere motivi per essere ottimisti: c’è un’opposizione divisa e spesso impresentabile, ci sono potenti vicini che preferiscono avere la democrazia in un solo paese per dormire tranquilli sonni della ragione, ce ne sono altri che vogliono intervenire a tutti i costi ed altri ancora che non mollano amici più che trentennali.

E c’è un governo che è semplicemente disastroso, cui fa da degno contraltare una cosiddetta comunità internazionale distratta, troppo pragmatica, incerta e piena di valori più rituali che vitali. L’Occidente, ormai più spesso una koiné culturale che una comunità politica espressione di un progetto e di un futuro, oggi sarebbe descritto dal principe Clemens von Metternich come “un’espressione olografica”.

Su queste basi la diplomazia corrente può solo prepararsi ad uno stanco tentativo, visti i prevedibilissimi stalli e veti incrociati. Una politica di livello può invece aprire la strada ad una soluzione non indolore, ma con la prospettiva di un risultato più interessante. Questa pace quali interessi deve salvaguardare? Se uno guarda allo scacchiere ed a quali pezzi coprono altri è evidente che, senza prendere in conto Iran e Russia, si va a continuare una guerra sinora in stallo e con la possibilità di una vittoria di logoramento a favore governo.

Ban Ki Moon, non importa per quali percorsi, ha correttamente invitato i due paesi ed al momento paga la scarsa maturazione di altre parti negoziali. Se però Mosca e Tehran vedono che si vogliono considerare i propri interessi, devono anche chiedersi se soltanto con Bashar el Assad possono venire tutelati oppure no. La risposta è, sfortunatamente, no. Se Bashar el Assad avesse saputo affrontare con saggezza e destrezza la forte richiesta di cambiamento che veniva da tutti gli strati sociali, i due paesi non spenderebbero fior di capitale monetario, politico e militare per tenere in piedi un governante politicamente fallito.

Questo è il punto di partenza per ogni soluzione che guardi in faccia alla realtà. Una parte rilevante del clan Assad ha sperperato in un decennio l’eredità politica del fondatore Hafez ed è diventata un peso e non una risorsa. Chi obbietta che senza Assad ci saranno i jihadisti finge d’ignorare come dal 2001 la Siria sia stata incapace di controllare il fenomeno in casa e di come abbia essa stessa sostenuto quelle brigate internazionali dell’intolleranza pur di creare problemi agli USA in Iraq.

Insomma sono state le politiche degli Assad a favorire il fenomeno jihadista in Siria e non viceversa ad essere il baluardo della “civiltà”. Quindi, chi vuole via i qaidisti di ogni specie deve mandar via Assad ed una parte del suo attuale governo. Questo non significa bandire gli alauiti ed altre minoranza cooptate in passato dalla futura vita politica del paese, significa solo far dimettere un’élite incapace a favore di una più competente, capace di vincere elezioni decentemente organizzate. Una soluzione ad personam? Sì perché chi sono personae molto più capaci, rappresentative ed abili nella gestione del potere, governando quindi anche con l’assenso d’Iran e Russia, oltre che dei soliti noti d’oltremare.

Alessandro Politi è analista politico

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