Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo di Marcello Bussi uscito oggi sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi
Gli spread dei Paesi mediterranei scendono, l’Irlanda appena uscita dal piano di aiuti internazionali fa il pienone tornando sui mercati con un bond decennale, ma negli Stati Uniti c’è ancora inquietudine per le sorti di Eurolandia. E ieri il segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew, incontrando a Berlino il collega tedesco Wolfgang Schaeuble, ha ribadito le critiche alla politica economica di Berlino.
L’APPELLO DI LEW
Lew ha detto che la Germania dovrebbe ridurre il surplus commerciale e lanciare una «politica attiva» per aumentare la domanda interna e gli investimenti. L’economia tedesca dipende infatti troppo dalle esportazioni, pertanto c’è bisogno di rafforzare la domanda interna per sostenere la ripresa di Eurolandia. Dura la replica di Schaeuble: «Non facciamo incontri per giudicarci a vicenda ma per comprenderci meglio reciprocamente», ha detto, sottolineando che l’economia tedesca è guidata dalla domanda domestica e la Germania non detiene un surplus delle partite correnti nei confronti di Eurolandia, il principale partner commerciale del Paese.
I DATI DI BERLINO
Poco prima dell’incontro l’Ufficio federale di statistica aveva diffuso i dati sulla bilancia commerciale tedesca di novembre, che, per ironia della sorte, ha registrato un aumento del surplus superiore alle attese, a 17,8 miliardi di euro dai 16,7 di ottobre. Ed è vero che la bilancia commerciale con Eurolandia è sostanzialmente in equilibrio, con le esportazioni verso gli altri Paesi dell’area euro a 34,3 miliardi di euro e le importazioni a 34,1 miliardi.
IL MODELLO TEDESCO
Ma rispetto a un anno fa le esportazioni sono in crescita dello 0,1%, mentre le importazioni sono diminuite dell’1%. Questo significa che l’economia tedesca non fa assolutamente da locomotiva degli altri Paesi di Eurolandia. I nuovi dati smontano poi il mito di Berlino imbattibile nell’export verso i Paesi non Ue: qui le esportazioni sono rimaste invariate rispetto a un anno, mentre le importazioni sono diminuite dell’1%. A fare da traino all’export tedesco sono stati invece i Paesi Ue che non aderiscono all’euro, come il Regno Unito, la Svezia e la Polonia, con un incremento del 4,9%, con l’import in crescita del 2,1%. D’altronde è quantomeno bizzarro che la Germania voglia imporre al resto di Eurolandia il proprio modello economico basato sull’export, poiché è impossibile che ogni Stato abbia un surplus commerciale, a meno che non si comincino a esportare merci sulla Luna.
Washington ha i suoi buoni motivi per preoccuparsi: Eurolandia è la seconda economia mondiale, ancora in netto vantaggio nei confronti della Cina. È quindi difficile ipotizzare che gli Usa possano godere di una ripresa sostenuta e durevole se quest’area non si risolleva.
NUMERI POCO CONFORTANTI
Il dato di ieri sulla disoccupazione nell’area euro non è certo confortante: a novembre è rimasta stabile al 12,1%. In numeri assoluti si tratta di 19,2 milioni di persone, più della popolazione dell’Olanda. Se poi si guarda alla disoccupazione giovanile, in Spagna è al 57,7%, in Grecia al 54,8%. Mentre in Italia è salita al 41,6%, ai massimi dal 1977, ovvero da quando sono cominciate le serie storiche per questo tipo di statistica. A livello generale, la disoccupazione in Italia è salita al 12,7% dal 12,5% di ottobre, con un numero di disoccupati pari a 3 milioni 254 mila, in crescita dell’1,8% rispetto al mese precedente (+57 mila) e del 12,1% su base annua (+351 mila). Di fronte a questi dati, sorprende che, sempre nel mese di novembre, le vendite al dettaglio in Eurolandia siano cresciute dell’1,4% congiunturale (l’incremento più forte dal novembre 2001) e dell’1,6% tendenziale. Tuttavia, come ha sottolineato James Ashley, economista di Rbc Capital Markets, non si tratta «di un grande balzo in avanti», bensì di un «piccolo passo nella giusta direzione».
L’IMPEGNO DELLA BCE
La Bce dovrà districarsi oggi fra tutti questi nuovi dati. Che non hanno comunque cambiato le attese degli analisti: bocce ferme per i tassi d’interesse, che rimarranno allo 0,25% e nessun annuncio di una nuova Ltro, ovvero operazione di rifinanziamento delle banche. Con l’ingresso della Lettonia nell’euro, poi, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha trovato un nuovo alleato nel collega baltico, Ilmars Rimsevic, da sempre sostenitore di quelle politiche di austerità che Riga ha applicato con particolare rigore.