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Perché secondo me la vendita di Poste va contro l’interesse nazionale

L’annuncio del ministro dell’Economia Saccomanni a Davos riguardo la vendita della quota del 40% di Poste Italiane suona quale invito a investire in Italia.
Non per niente il piano del governo “Destinazione Italia” dovrebbe rappresentare una strategia di attrazione per gli investimenti in Italia. E se fosse un piano Svendita Italia?

Le contraddizioni che stanno emergendo dagli emendamenti in Parlamento, più di mille, evidenziano la mancanza di una strategia dei partiti di maggioranza e soprattutto della mancata capacità del governo di proporre un piano credibile e fondato su criteri esaustivi dal punto di vista dell’interesse nazionale, partendo da Poste ed Enav.

Quanto vale Poste Italiane? Quanto raccoglie sul mercato? Chiunque può controllare online le cifre. Raccoglie più di tre gruppi bancari nazionali, ha una liquidità invidiabile a livello europeo e i servizi alle imprese medio-piccole degli ultimi anni hanno messo in ginocchio il mercato bancario per un semplice motivo: non vi sono italiani che non abbiano almeno un deposito o un buono fruttifero postale, che messo a garanzia, elimina qualunque forma di garanzia bancaria, patrimoniale e a tassi fuori mercato.

È evidente la competitività che le Poste hanno sul mercato, ma a maggior ragione non si dovrebbe toccare l’ultimo presidio di ricchezza del Paese e dei cittadini.

Cassa Depositi e Prestiti non ha esigenze di ricapitalizzazione e non si capisce con quali criteri economici il Tesoro giustifichi la vendita. L’incasso previsto da Saccomanni dalla prima tranche è valutato in circa 4 miliardi. Ipotizzando la collocazione del 10% con questo valore economico, il governo valuterebbe il 40% circa 16 miliardi. Quindi, in totale Poste varrebbe 40 miliardi, circa il 10% della raccolta gestita? Ma lo sapremo dagli advisor.

Se il ministero dell’Economia per fare cassa svende al mercato Poste Italiane, perché non propone agli italiani di comprare le quote o di convertire i buoni fruttiferi in azioni? Perché non si è pensato di proporre un diritto di prelazione ai correntisti ed ai possessori di depositi ad un prezzo competitivo, mettendo in sicurezza la quota delle azioni all’interno del Paese e riducendo l’interdipendenza economica con i mercati?

Se l’interesse nazionale è stato valutato con questi criteri allora potremmo dire che il governo faccia gli interessi dei cittadini italiani. Certo che lanciare l’idea a Davos e discuterla l’indomani in Consiglio dei Ministri dia tutt’altra sensazione, che sia puramente di mercato degli interessi nazionali. Confidiamo tutti sia l’ennesimo difetto di comunicazione dello staff della Presidenza del Consiglio o di quello del ministero dell’Economia.



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