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A proposito di laicità e religione

Spesso il dibattito sul rapporto tra laicità e cattolicesimo o, più in generale, tra laicità e religione nella vita sociale, è contrassegnato da vuote e sterili polemiche, e rischia di alzare steccati ideologici di cui se ne farebbe volentieri a meno. Uno degli equivoci di fondo della questione consiste nella distinzione stessa, a livello concettuale, tra laici e cattolici. Questa distinzione, il più delle volte alimentata ad arte da chi sembra non riesca a ragionare senza un nemico da combattere, in realtà non ha alcun fondamento. Primo, perché a partire dal Vaticano II è stata recuperata la visone della chiesa come “corpo” dove ciascun membro ha la sua funzione. E tra le membra di questo corpo ci sono, per l’appunto, i laici, cioè i fedeli non consacrati (tra l’altro, il termine laico deriva dal greco laos, che significa popolo: i laici sono dunque il “popolo” di Dio per eccellenza). Secondo, perché i fautori della laicità hanno loro stessi una concezione molto poco laica delle cose. Essi infatti sostengono, ed in ciò sarebbe uno dei tratti specifici della laicità, che la religione è affare di coscienza. Non che la religione debba essere combattuta, anzi; non deve però entrare nella sfera pubblica. Il punto però è che una siffatta visione della laicità o, se si vuole, della religione da cui essa deriva, non è altro che la riproposizione, volgarizzata, della dottrina luterana sulla fede. Il che dimostra, da un lato, come la Riforma sia penetrata nella cultura e nel costume nazionale più di quanto non sembri. Dall’altro, svela tutta l’ipocrisia di chi opponendosi strenuamente al rischio di una “nuova cristianità”, in senso cattolico, in realtà non faccia altro che proporre un modello alternativo a quello cattolico, ma pur sempre di cristianità, come il modello protestante. Questo per dire che contrariamente a quanto si creda la laicità non è mai “neutrale” rispetto al fatto religioso, perché ciò è semplicemente impossibile. Ma c’è anche un altro aspetto da sottolineare a proposito della cultura cosiddetta laica, ed è che spesso viaggia a corrente alternata. Quest’anno ricorre il decimo anniversario del varo, in Italia, della legge sulla fecondazione assistita e, in Francia, della legge che ha introdotto il divieto di indossare nelle scuole simboli o indumenti di natura religiosa. Due norme apparentemente lontane, ma che invece toccano entrambe il discorso che stiamo facendo. All’epoca, il dibattito sulla legge sulla fecondazione assistita fu molto acceso in Italia, e da parte laica quella legge fu vista come un cedimento alle pressioni del Vaticano e il venir meno di quel principio di laicità che dovrebbe essere alla base delle moderne democrazie. Peccato però che quegli stessi che polemizzavano contro quella norma non abbiano avuto nulla da ridire sull’altra, quella francese sul divieto di indossare simboli o indumenti religiosi nelle scuole. Eppure stiamo parlando di una norma in aperto contrasto con l’art. 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo del 1950: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti”. La Convenzione dice a chiare lettere che tra i mezzi atti a manifestare, anche in pubblico, la propria religione rientrano le “pratiche”; ora è evidente che nel caso di un crocefisso al collo o di un velo islamico, siamo di fronte proprio ad una “pratica”, che pertanto non doveva in alcun modo essere vietata. Ma così non è stato, nel più assordante silenzio del nostrano mondo cosiddetto laico. A riprova che spesso e volentieri la laicità adotta due pesi e due misure. Si parla, si discute, ci si arrabbia per difendere i diritti di tutto e tutti, magari anche della sopravvivenza delle cozze di cui francamente non interessa nulla; ma quando ci sono di mezzo i diritti dei credenti, beh, si ha come l’impressione che questi valgano meno e che, anzi, meno se ne riconoscono e più si limitano i (presunti) danni delle religioni. Se è la religione a “invadere” il terreno della politica, alte e acute si levano le grida allo scandalo e all’offesa dei sacri principi della laicità; ma quando, come nel caso francese, è la religione ad essere calpestata, magari proprio in nome e per conto di quella stessa laicità, curiosamente gli atteggiamenti cambiano. Dimenticando che laicità vuol dire, in primis, rispetto e tolleranza verso tutti, credenti inclusi.

 


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