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Sinodo sulla famiglia: perché non sarà un Vaticano III

Davvero il prossimo Sinodo straordinario dei vescovi che avrà al centro il tema della famiglia, sarà una sorta di Vaticano III? Personalmente non credo, ed anzi penso che si stia correndo un po’ troppo. D’accordo, il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del gruppo di cardinali incaricati da Papa Francesco di rivedere l’organizzazione della curia romana, è stato esplicito quando ha detto – in un’intervista al quotidiano tedesco Kölner Stadt-Anzeiger che ha già fatto parecchio rumore – che le parole di Cristo a proposito di matrimonio si possono interpretare, fermo restando che i comandamenti non si discutono. Così come quando ha sottolineato che il quadro di riferimento della Familiaris Consortio – l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II del 1983 – non è più lo stesso di allora, e che quel genere di famiglia non esiste più. Ma da qui a immaginare cambiamenti radicali e dirompenti in tema di dottrina, ce ne passa. Primo, perché lo stesso Maradiaga ha ricordato che le parole di Cristo, e in genere la dottrina, non si discutono. E’ quindi difficile immaginare  rotture in tal senso, anche se questo è quanto auspicano certi ambienti ecclesiali e teologici, che in nome di una visione distorta dell’attenzione ai segni dei tempi e più in generale del Vaticano II, vorrebbero non solo che la Chiesa cambiasse linguaggi e consuetudini per renderli più prossimi all’uomo contemporaneo (che ci sta), ma che appunto cambiasse proprio la dottrina perché lontana anni luce dalla sensibilità degli uomini e delle donne di oggi, che vedono la morale cattolica unicamente come un macigno insopportabile.

Secondo, perché il cardinale honduregno non ha fatto altro che ribadire quella che è la linea, l’impostazione di Papa Francesco, su questo come su altri temi, vale a dire il primato della cura pastorale anziché della dottrina, l’attenzione all’uomo concreto, qui ed ora, più che la riproposizione a tambur battente della verità. Che resta tale, e su questo il papa in più d’una occasione è stato chiaro (vedi la questione dell’ammissibilità delle donne al sacerdozio, di cui ha parlato di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Rio); ma che ha bisogno di essere declinata, calibrata, “centrata” sull’oggi perché possa dare frutto in modo efficace. Un approccio, questo, perfettamente in linea con il taglio pastorale che Giovanni XXIII volle dare al Vaticano II, ove per “pastorale” si intenda una linea di rinnovamento nella, non contro (critica tradizionalista) né oltre (critica progressista) la Tradizione. Anche per questo, parlare di un Vaticano III a proposito del prossimo Sinodo pare un po’azzardato. A mio avviso è più corretto parlare invece della volontà di papa Francesco di dare piena attuazione proprio al Vaticano II, nella piena consapevolezza che il concilio mantenga tuttora intatta la sua freschezza e rappresenti ancora oggi per la chiesa la bussola da seguire. Certo, resistenze da una parte e dall’altra non mancheranno. In primis tra il clero, a tutti i livelli. Perché se c’è un aspetto che il Vaticano II ha sottolineato, e che ancora oggi non va già a buona parte del clero, è il ruolo dei laici nella vita della chiesa. E da questo punto di vista c’è da scommettere che la proposta del comitato dei cardinali, anticipata da Maradiaga nell’intervista, di creare una nuova congregazione per i laici, non farà molto piacere ai tanti nostalgici dell’era pre-conciliare dove il clero (dal prete su su fino al papa) era investito di un’aura sacrale, e negli stessi seminari i futuri sacerdoti venivano formati avendo ben chiaro che diventare prete significava entrare a far parte di un’elite, di una casta ristretta era la chiesa, con i laici nel ruolo tutt’al più di braccio secolare e comunque in nessun caso attori ma semplici comparse. Poi è arrivato il Vaticano II, e la musica è cambiata. Perché da una concezione piramidale si è passati all’ecclesiologia di comunione , alla riscoperta della chiesa come “corpo” e “popolo di Dio”, dove tutti, nessuno escluso, partecipano in virtù del battesimo al sacerdozio comune dei fedeli, senza nulla togliere al sacerdozio ministeriale riservato al clero. E questa è una cosa che anche a distanza di mezzo secolo ancora oggi molti preti (e non solo) fanno fatica ad accettare, fermi come sono ad una visione del sacerdozio come potere e non come servizio. Tanto che il refrain che spesso si sente – a proposito ad esempio dei movimenti e nuove comunità sorte negli anni del Concilio – è il seguente: sì d’accordo, i laici hanno puntellato e sostenuto la chiesa nel post-concilio, quando la chiesa ha sbandato, ma ora il loro compito si è esaurito, ed è tempo che i preti si riapproprino del loro ruolo e riprendano in mano il timone della barca. Come se fosse tutta e soltanto, appunto, una questione di potere. L’esatto contrario, tanto per restare in tema, di come la pensa papa Francesco.



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