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Uno spread non fa primavera

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito su l’Arena di Verona, Giornale di Vicenza e Brescia Oggi

Chissà se stiamo dando i numeri nello stesso Paese. Da una parte il 2014 s’annuncia con un risultato a lungo atteso, dopo tanta bruttissima crisi: col cin-cin dello spread, che s’è abbassato sotto i duecento punti. Non accadeva dal luglio del 2011 e l’”evviva!” di Enrico Letta è una fotografia che vale per tutti. Come col campionato di calcio, con l’ormai celebre differenziale conviviamo da tempo e di giorno in giorno. Registra il termometro dell’affidabilità dell’Italia in campo internazionale. Se perciò torna a livelli, chiamiamoli, umani, la ripresa appare più di una speranza.

Ma il brindisi per la positiva inversione di tendenza dura poco. Dura fino al 16 gennaio, quando molti Comuni dovranno stabilire la tassa della Tasi, cioè dei servizi ai cittadini, piuttosto simile alla vecchia Imu. E, a oggi, nessuno sa indicare quanto si dovrà pagare per la vecchia imposta travestita da nuova. Non basta. Nella stessa Italia che può finalmente celebrare un rapporto meno drammatico fra titoli di Stato nostri e tedeschi, si scopre che il fisco s’è fatto ancor più esigente per il 95 per cento delle imprese già tartassate di per sé. E che la pressione tributaria oscilla fra il 53 e il 63 per cento, secondo gli studi della Cgia di Mestre che, di fatto, conferma l’allarme di Confindustria. Ma in compenso la politica continua a ripetere: “Bisogna abbassare il cuneo fiscale”. Due Paesi, dunque. Quello dei dati macro-economici promettenti, come si conviene a una delle economie più solide, nonostante tutto, del pianeta. E l’altra Italia dalla concreta borsa della spesa del “paga e Tasi”, con un fisco che s’incunea sempre più su, costringendo gli imprenditori al salasso e i lavoratori a buste-paga leggere.

Non si pretende che in pochi mesi il governo risolva il problema antico e incrostato di un’economia allo stesso tempo mal assistita e poco incoraggiata. Ma organizzare le cose e lo Stato almeno per far sapere ai cittadini quali e quante tasse dovranno pagare, non è impresa da premi Nobel. Così come constatare che il fisco aumenta quanto più si dice di volerlo diminuire. Come la rondine, neanche uno spread fa primavera ed è ora che chi ha, o avrà, responsabilità nel guidare il Paese, si renda conto del vero “differenziale” che regna tra tanti cittadini esasperati. Quest’amara sensazione di politici che non colgono l’urgenza delle riforme, pur parlandone da sempre. Che non danno segnali forti per cambiare nel concreto. Che scambiano i buoni propositi per decisioni operative, e così evitano di prendere decisioni. Ma il 2014 non può essere la prosecuzione del 2013 con qualche sorriso in più.

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