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Dopo i crack finanziari degli anni Novanta e del 2001, il Paese torna a rischiare il default, ancora una volta legato alla debole struttura della sua economia. I primi segnali sono giunti il 24 gennaio scorso quando il governo della “Presidenta” Cristina Fernandez de Kirchner ha autorizzato una brusca svalutazione del Peso argentino, la valuta nazionale, calato di oltre il 15% del suo valore, dopo che nel 2013 aveva perso il 24% sul dollaro.
Un’azione, questa, che ha costretto la Banca centrale nazionale ad intervenire sul mercato vendendo banconota statunitense con lo scopo di contenere il più possibile le pensanti perdite. Grazie a questo intervento ci vogliono 8 peso per comprare un singolo dollaro. Il governo, per voce del capo di gabinetto Jorge Capitanich, ha annunciato l’allentamento delle discusse restrizioni in materia valutaria in vigore da oltre due anni, sottolineando come “il prezzo del dollaro abbia raggiunto un livello di convergenza accettabile con gli obiettivi di politica economica” del Paese.
Nonostante le azioni intraprese dal governo, gli investitori stranieri, che temono grosse perdite, hanno iniziato a trasferire i propri capitali verso economie più solide. Immediato l’intervento di Cristina Kirchner, che dall’Avana, dove si trovava per trascorrere alcuni giorni di riposo dalla malattia e per partecipare al summit del 4 febbraio della Celac, ha tranquillizzato i risparmiatori privati argentini e stranieri lanciando un nuovo anatema contro le “pressioni speculative” nei confronti delle monete dei Paesi emergenti.
Infatti, a contribuire all’instabilità dell’economia argentina intervengono anche i segnali di debolezza delle politiche monetarie dei Paesi emergenti come Cina, Turchia, Brasile e Sudafrica, tutte legate a fenomeni di rallentamento della crescita economica e, per alcuni di loro, di forte esposizione al debito argentino.
Una crisi che rischia di tramutarsi in tempesta se Buenos Aires non risolverà positivamente le tre controversie internazionali ancora aperte (una delle quali riguarda da vicino i risparmiatori italiani) in merito al rimborso dei cosiddetti tango-bond del 2005 e del 2010.
Senza una nuova ristrutturazione del debito estero il governo si troverebbe nell’impossibilità di poter rimborsare i propri creditori e dovrà dichiarare di fatto la bancarotta finanziaria. Intanto, il Fondo Monetario Internazionale si è detto disponibile ad aiutare il Paese sudamericano nonostante non abbia relazioni ufficiali dal 2004 a causa delle tensioni legate alle statistiche sul tasso di inflazione e di disoccupazione che secondo l’organizzazione di Washington erano fortemente rivisti al ribasso dal governo argentino.