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Banca Dati del DNA, cos’è ed a che cosa serve

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La questione. Il 4 luglio 2006 il ministro dell’interno Giuliano Amato, ha dichiarato, per conto del Governo italiano, a Berlino, l’intenzione dello Stato italiano di aderire agli accordi di Prüm. Tale Convenzione, denominata “Schengen 2”, è stata firmata a Prüm (Germania) il 27 maggio 2005 fra sette Paesi dell’Unione europea (Belgio, Francia, Germania, Spagna, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria) ed è aperta all’adesione e ratifica di altri Paesi della medesima Unione europea. Essa rappresenta un valore aggiunto rispetto agli accordi di Schengen, poiché è volta a rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella lotta ai fenomeni montanti del terrorismo, della immigrazione clandestina, della criminalità internazionale e transnazionale. Le disposizioni in essa contenute rendono, infatti, possibile, lo scambio di informazioni concernenti dati informatici relativi a impronte digitali e dati genetici (DNA), con correlativa predisposizione di un livello adeguato di protezione dei dati medesimi da parte del Paese contraente destinatario. Il Trattato intende concretamente migliorare e rendere efficace lo scambio di informazioni, consentendo – nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali – l’accesso automatizzato ad alcuni schedari nazionali degli Stati aderenti. Si tratta del reciproco accesso, lettura diretta ed on line ai dati dei registri di immatricolazione dei veicoli, nonché degli archivi d’analisi del DNA e dei dati dattiloscopici (impronte digitali), secondo specifiche modalità. (Fonte: Ministero della Giustizia).

Il nodo cruciale: la banca dati del DNA. L’Italia ha dunque aderito al Trattato di Prüm con specifico riferimento all’istituzione di una banca dati del DNA, ovvero un database governativo che contenga i profili genetici di persone pregiudicate per reati penali o fermate in flagranza di reato. Ciò permetterebbe la comparazione di profili genetici ricavati da una scena del crimine per identificarne il responsabile. In tale banca dati verranno inseriti i profili genetici di persone pregiudicate o colte in flagranza di reato. Possono essere inoltre inseriti nella banca dati i profili genetici di resti umani non identificati e, previo assenso degli stessi, i profili dei familiari di persone scomparse, allo scopo di giungere all’identificazione dei resti di queste persone.  I profili genetici che entrano a far parte della banca dati nazionale del DNA offrono informazioni sulla sola identità dei soggetti analizzati, e non permettono di risalire allo stato di salute presente e futuro delle persone, tutelandone così la privacy.

La banca dati. Le tecnologie per lo studio del DNA garantiscono con precisione l’attribuzione di un profilo genetico ad uno specifico individuo. Ovviamente queste analisi devono essere condotte da personale specializzato e che l’interpretazione dei dati raccolti sia svolta da esperti che conoscano i limiti e i margini di errore di questa tecnologia.

Insomma, per dirla con un linguaggio meno burocratico, è senz’altro innegabile come, al nominare una banca dati del DNA, la mente di molti vaghi verso la fortunata serie CSI dove abili ed indefessi detective scovano tracce nascoste, quasi trasparenti. Ed è quando appare sui loro futuristici computer la scritta match found che il telespettatore si trova ad essere soddisfatto, con loro, del lavoro svolto. Un riscontro trovato in una banca dati DNA equivale ad un nome, e quindi ad una persona, in maniera inequivocabile, per inchiodare senz’altro, ma anche scagionare. Uno strumento in più con il quale la sicurezza e la privacy dei cittadini possano essere garantite e tutelate in maniera migliore.

 

 

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