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Caro zio Pinuccio ti scrivo

Caro zio Pinuccio,

sono passati quindici anni e qualche giorno da quando sei venuto a mancare. Ho usato questo “qualche giorno” per ricordare i nostri momenti privati, quel particolare, incantevole rapporto che si instaura fra un uomo buono e un bambino che stravede per lo zio e si ritrova a portare il suo nome. Un rapporto prezioso per chi lo vive e  giustamente privato.

Lo cito perché anche questo è uno dei valori che mi e ci hai insegnato a coltivare: non fare mai dell’odio una categoria politica, non consentire a nessuna vicenda, a nessuna contrapposizione di degenerare nell’ ostilità personale. In questo rifiuto di consegnare alla politica la totalità del proprio sé, nel conservare un luogo riparato per l’umanità e la gentilezza c’è più di un tratto dell’indole: c’è un programma.

Per questo mi ha reso felice, mercoledì scorso, vedere tanti amici tuoi che dopo di te non sono riusciti molto bene ad essere amici fra loro, incontrarsi e parlarsi senza odio, anche se senza ipocrisie. Il coro unanime dell’Adriano è stato “Se ci fosse stato Pinuccio il centrodestra non sarebbe in queste condizioni ”, e come sempre il più schietto e generoso è stato Ignazio La Russa, quando ha detto: “Tutti abbiamo una quota di responsabilità, ma quella maggiore è che in dieci non siamo riusciti a sostituire Pinuccio”.

Cose belle e condivisibili, certo. Però, zio, temo che possano indurre in equivoco. Credo che nulla sia più lontano dal vero dell’immagine angelicata che di te si è voluto dare, come tu fossi stato una specie di Forlani di destra. Comprensivo delle ragioni degli altri, questo sì; lungimirante nell’indicare ciò che unisce a preferenza di ciò che divide, senz’altro; ma mai votato al compromesso al ribasso, all’unità purchessia, allo stare insieme per la foto da inviare ai parenti.

Lo dicono i fatti: quelli del remoto evo dei congressi missini, quando sostenesti il giovane Fini contro Rauti, anche rischiando di perdere, come in effetti avvenne (e Pisanò pronunciò quella battuta che ti divertiva molto: “Camerati, ricordate che nel segreto dell’urna Mussolini vi vede e Tatarella no!). Ma si può ricordare anche che l’antesignano della polemica contro i “poteri forti” fosti tu, con la celebre intervista alla Stampa dell’agosto 1994.

Mite, sicuramente: cortese ai limiti dell’irrisione con quel Di Rupo che proclamava urbi et orbi di non volerti stringere la mano, sferzante con i rituali e le liturgie della nostalgia, ma anche determinato e inflessibile nell’affermazione e nel perseguimento di un percorso, di un orizzonte ideale, di un programma.

Ecco, zio, è chiaro che di persone come te non se ne trovano a tutti gli angoli; ma penso che il peggior tradimento che si possa consumare ai tuoi danni sia quello di avere nostalgia di uno che alla nostalgia, specie se fatta di paccottiglia guardava con fastidio.

Perché a ben vedere a mancarci non è solo la tua mitezza e la tua capacità di coinvolgimento, ma la tua chiarezza di idee, la lucidità del tuo progetto. Mi pare che da questo punto di vista all’ Adriano si sia gettato un seme. Spero che, con l’aiuto della memoria della tua saggezza, riusciremo a farlo germogliare. Un abbraccio forte

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